Il Pd-Sicilia più che in altre realtà nazionali mostra di non
essere un "partito", partito nel senso a cui eravamo abituati.
Il Partito Democratico è americanizzato molto più di
qualsiasi altro partito nazionale; esso è un contenitore di "forze",
che in comune hanno niente, e talvolta meno di niente in comune. Dentro ci sono
liberali, cattolici conservatori, cattolici progressisti, socialdemocratici, e
(di nascosto) comunisti.
Non sorprende, quindi, che Rosario Crocetta -che si
auto-definisce "rivoluzionario"- all'Assemblea regionale non abbia
una maggioranza che sorregga il suo governo.
Egli sta studiando come fare "campare" per altri
tre anni la sua compagine.
Mercoledì, nel corso della relazione sulla crisi di governo,
Crocetta farà «un appello per le riforme a tutte le forze che ci stanno», in
pratica aprirà ai conservatori del centro-destra.
Operazione che più rivoluzionaria non potrebbe essere.
Il piano prevede l’allargamento della maggioranza
coinvolgendo il centrodestra su un pacchetto di riforme. Per Antonio Malafarina
(Megafono) «bisogna andare al di là dei numeri ufficiali e proporre un patto
sulle riforme».
I leader del centrodestra – Roberto Di Mauro
(Mpa), Toto Cordaro e Marco Falcone (Forza Italia), Nello Musumeci, Mimmo Fazio
e Nino D’Asero (Ncd) – ovviamente sono d'accordo. Hanno perso le elezioni, ma
governeranno (roba da rivoluzione !!!).
L’ala renziana del Pd, quella rimasta vicina a Crocetta,
storce il naso, o finge di storcerlo: «Le larghe intese sarebbero la morte del
governo, la Sicilia non ne ha bisogno» ha detto Giuseppe Lupo. Però la battuta
potrebbe non significare "nulla" per chi conosce il politichese, il
linguaggio dei gattopardi ossia della classe dirigente siciliana.
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