La legge del 12 dicembre 1816
introdusse nell’ormai Regno delle Due Sicilie (governato dai Borboni) l’uniformità nei comportamenti amministrativi su tutti i territori dell'isola attraverso
-la modernizzazione dall’alto (paternalistico, viene da dire) dell’impianto istituzionale, fondato non più sui privilegi della nobiltà come avremo modo di cogliere nella fase istituzionale -nel 1520- dell’Università di Kuntissa ad opera dei Cardona,
-e il predominio assegnato ad una ancora ristretta classe di possidenti e di professionisti, chiamati ad amministrare localmente sui territori con probità e onestà in modo imparziale.
-la modernizzazione dall’alto (paternalistico, viene da dire) dell’impianto istituzionale, fondato non più sui privilegi della nobiltà come avremo modo di cogliere nella fase istituzionale -nel 1520- dell’Università di Kuntissa ad opera dei Cardona,
-e il predominio assegnato ad una ancora ristretta classe di possidenti e di professionisti, chiamati ad amministrare localmente sui territori con probità e onestà in modo imparziale.
La dinastia borbonica era
finalmente riuscita a liberarsi -dopo decenni di sforzi vani impressi nel solco della vivace cultura illuminista napoletana di cui si era circondata la corte dalla seconda metà del Settecento- dai
condizionamenti che le giurisdizioni baronali avevano imposto per secoli alla Monarchia.
Finalmente la sovranità regia fu praticamente in grado di imporsi sulla pluralità degli ordinamenti e dei diritti, dei luoghi e dei ceti, che avevano caratterizzato lo Stato in Sicilia in tutti i secoli
dell’età moderna (dal XV secolo).
Il diritto unico da applicare su tutta la Sicilia da quel 1816 sarebbe stato quello dello Stato borbonico e non più quello localistico dei Cardona a Kuntissa, o dei Cardona a Burgio.
Nel 1919 furono varati i codici
valevoli sull’intero Stato borbonico, che ormai si estendeva dal napoletano
fino al trapanese. Nel 1918 era pure stata istituita in Sicilia la Gran Corte
dei conti che rappresentò uno dei cardini attorno a cui ruotò il riassetto
delle amministrazioni locali (i Municipi) fino allora espressione dei baroni.
Abbiamo voluto soffermarci sui pochi dati
di crescita della società isolana per evidenziare che la nascita della nuova
realtà di riscatto dalle signorie feudali e dal baronaggio degli individui (privi di diritti), entro cui è sorta la comunità istituzionalizzata di
Kuntissa nel 1520, si è incamminata ad una lenta modernizzazione solamente in epoca successiva alla Rivoluzione francese, dopo le campagne napoleoniche e dopo la permanenza inglese in Sicilia e via via allo svilupparsi dei moti liberali e patriottici dell'Ottocento. Un lungo cammino da quel 1520,
che comunque significò una conquista per gli eredi degli esuli albanesi sfuggiti ai turchi, che si ritrovarono immessi in un mondo feudale completamente sconosciuto nel loro già Impero Romano d’Oriente; privi di sicurezze sulle diverse modalità e garanzie di vita dinnanzi al
potere assoluto goduto in Sicilia dai Baroni, imperatori assoluti in dimensione
ridotta su vaste aree della Sicilia.
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IL POTERE FEUDALE DEI CARDONA,
DEI GIOENI, DEI COLONNA, Signori
della Terra di Kuntissa
Il Regno di Sicilia fu fondato sullo schema feudale delle popolazioni normanne del nord Europa, fatto proprio sostanzialmente da tutti gli Stati del continente.
In origine la giurisdizione territoriale
fu concessa in dominio ed in signoria agli amici dei conquistatori Altavilla e in seguito
fu ereditaria e patrimoniale entro la cerchia dei discendenti di quegli amici.
Alta e bassa giurisdizione. L’esercizio della giurisdizione sia
civile che criminale consentiva al feudatario (il barone) un ovvio e forte
controllo sul territorio e sulla popolazione.
Nel sistema di governo feudale a
balzare agli occhi non è solamente la conduzione per via ereditaria dello stato
giurisdizionale dei territori. La pratica di governo sui feudi e sulle
popolazioni era caratterizzata da una tensione continua tra tendenza alla
concentrazione dei poteri da parte del sovrano che esigeva i “donativi” e la partecipazione
al governo del Regno della pluralità dei feudatari dell’isola, che conseguirà l'istituzione a Palermo del più antico Parlamento del continente.
I re dell’isola, che fossero
normanni, angioini o aragonesi avevano provato ad uniformare il diritto nel
Regno ma mai essi riuscirono ad abrogare le normative particolari dei baroni;
anzi le divaricazioni arrivarono a mantenersi e a dilatarsi sostanzialmente fino
al Settecento.
Sostanzialmente. Il governo del territorio di uno Stato feudale,
dello Stato di Kuntissa, veniva esercitato dall’autorità baronale che era
insieme giudice e amministratore, funzioni entrambi finalizzate a mantenere in condizione subordinata i “sudditi”.
Amministrare va inteso non restrittivamente alla conduzione dei feudi, dei terreni agricoli, ma in senso “autoritativo” sulla vita pubblica delle comunità, sugli individui.
Amministrare va inteso non restrittivamente alla conduzione dei feudi, dei terreni agricoli, ma in senso “autoritativo” sulla vita pubblica delle comunità, sugli individui.
Il Re, o il vice-re, che governava
l’isola era ben consapevole dell’esistenza di consistenti schiere di soggetti, nelle
città demaniali e nelle comunità rurali, che dagli ordinamenti ecclesiastici alle
corporazioni delle arti alle corti baronali, costituivano tutt’altro che mere
‘sezioni’ del Regno.
Arriverà il tempo delle monarchie assolute regie, ma non in Sicilia.
Arriverà il tempo delle monarchie assolute regie, ma non in Sicilia.
Il contesto era caratterizzato
dall’intreccio delle varie giurisdizioni e dal pluralismo dei fori e la feudalità fu sempre custode gelosa delle prerogative.
Gli storici tengono ad evidenziare che il panorama articolato del
Potere non deve necessariamente essere letto come un corpo antagonistico, in
potenziale collisione con lo stato regio, ma come parte dello stato
giurisdizionale, in potenziale/teorica collusione con esso e contestualmente
come canale di attuazione della giustizia regia e soggetto attivo nel governo
del territorio.
Nel Settecento l’impianto sarà
messo in discussione, incrinandosi progressivamente nel corso del secolo, a
favore di una visione semplificata della società e dell’affermazione di un
modello in cui i protagonisti emergenti saranno sia lo Stato e che l’individuo,
non ancora quest’ultimo divenuto “cittadino”.
Tra lo Stato e l’individuo
secondo alcuni storici si creerà uno «spazio enorme e vuoto». Altri storici
mettono invece in evidenza, secondo lo spirito della Rivoluzione francese, il sorgere
della intraprendenza borghese.
Da noi, nel Meridione, forse di borghesia se ne sviluppò poca. Quel poco fu definito ceto dei “civili”.
Proveremo a capire di più.
Da noi, nel Meridione, forse di borghesia se ne sviluppò poca. Quel poco fu definito ceto dei “civili”.
Proveremo a capire di più.