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giovedì 25 agosto 2011

A proposito di aborto. La Sicilia ha dati in linea con la media

È maggiorenne, tra i 25 e i 34 anni, senza figli, sposata, con la licenza media e casalinga; inoltre, la sua gravidanza non ha superato la decima settimana ed è passata dal servizio ostetrico ginecologico: è questo, a grandi linee, il ritratto della maggioranza delle donne siciliane che decidono di ricorrere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (Ivg), ossia all’aborto, come emerge dai dati del Ministero della Salute.
Il ministro Ferruccio Fazio ha reso pubblici -nella relazione al Parlamento-  i dati preliminari del 2010 e definitivi del 2009: risulta che la tendenza al ricorso all’aborto sia in diminuzione da anni, con “un decremento del 50,9% rispetto al 1982” e che “il valore italiano è tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati”; un dato da segnalare è la stabilizzazione del numero di aborti di cittadine straniere, comunque un terzo del totale.
In Sicilia, nel 2009 si sono avute circa 7800 interruzioni, con una media inferiore al dato nazionale.
Il ministero usa degli indicatori, come il rapporto tra il numero di aborti e quello di nati vivi (per mille) e il rapporto tra aborti e donne in età feconda (per mille): nell’Isola sono rispettivamente 162,8 e 6,5, mentre in Italia sono 210 e 8,5.
I dati del Ministero puntano molto su come la prevenzione e l’informazione siano alla base di una diminuzione sostanziale del numero degli aborti negli ultimi trent’anni.
In tutta Italia, il tasso di abortività è crollato della metà dal 1982 al 2009 ed è in costante diminuzione; tra il 2008 e il 2009, infatti, il tasso è diminuito del 4,3% nell’Italia insulare e del 2,5% sull’intero territorio nazionale.
Differente è il peso dei dati riferiti a cittadine straniere, specialmente extracomunitarie, per cui è stato attuato un piano di finanziamenti volti ad aumentare l’informazione sui metodi contraccettivi e sull’Ivg stessa.
Sull’utilizzo del trattamento con la cosiddetta “pillola abortiva” o RU-486 e prostaglandine, ancora non esistono dati totali. Quelli comunicati, inviati su base volontaria, riguardano Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Trento e Puglia ed evidenziano che sono coinvolti solo lo 0,7% dei casi di interruzione di gravidanza; invece, non esistono ancora dati ufficiali sull’utilizzo in Sicilia.
I dati riferiti alle donne che fanno ricorso all’aborto sono molto differenti da regione a regione.
In Sicilia sono più le sposate che le nubili a ricorrere all’aborto, mentre è opposta la media nazionale (anche se con poca differenza) e in Liguria, ad esempio, le nubili superano il 57% del totale. Se in Sicilia oltre la metà delle donne si è fermata alla terza media e poco più di un terzo ha un diploma, il dato nazionale è più livellato (rispettivamente 44% e 41%). L’occupazione in Sicilia è rispecchiata anche nell’aborto: il 25% ha un’occupazione, contro il 22% di inoccupate e disoccupate, il 40% di casalinghe e il 13% di studentesse (contro il 46, 17, 26 e 11% in Italia).
Gli aborti sono quasi sempre effettuati da donne che risiedono nella regione d’appartenenza (90% il dato nazionale, 97% in Sicilia), mentre la percentuale di interruzioni di gravidanza portate a termine da straniere è del 15,6, oltre la metà rispetto alla media nazionale (33%) e un terzo rispetto al dato del Veneto (46%).
Un dato interessante è quello dei consultori. La relazione spiega che ancora si è lontani dal numero fissato per legge (1 ogni 20.000 abitanti, contro gli 0,7 attuali), ma che il numero delle straniere che ne fa ricorso è in aumento. In Sicilia ne sono presenti 163, 0,6 ogni 20.000 abitanti, ma rilasciano appena il 14,5% delle certificazioni di idoneità all’aborto; la stragrande maggioranza proviene dal servizio ostetrico ginecologico.

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