Sono trascorsi 20 anni da quella mattina, erano le 7.36, in via Alfieri, nella zona residenziale di Palermo, quando Salvatore Madonia uccise, con tre colpi di pistola sparati dietro la nuca, Libero Grassi, 67 anni, mentre l'altro sicario, Marco Favaloro, lo attendeva nella sua auto per fuggire.
Da quel 29 agosto 1991 l'industriale tessile, medaglia d'oro al valor civile, è diventato un'icona della ribellione antimafia, soprattutto di quella contro il pizzo, la tassa «trasversale» delle cosche che accomuna tutte le vittime di Cosa Nostra: dal costruttore milionario al commerciante. «Se paghiamo i 50 milioni - scriveva Libero Grassi - torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no». Frasi semplici, concetti ovvi che tutti a Palermo bisbigliavano, ma che nessuno prima di lui aveva osato pronunciare apertamente. Eppure Grassi rimase solo. Come quella mattina del 29 agosto 1991.
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