All'interno della maggioranza di governo, sempre più divisa e soprattutto disorientata sul tipo di ricetta da applicare per fronteggiare la crisi, si fa largo l’ipotesi di dismissioni del patrimonio pubblico, sottolineando che bisognerà avviare una riflessione
1) sulla tassazione di solidarietà (classi soiciali medio-alte),
2) quoziente familiare (classi sociali medio basse),
3) utilizzazione dello scudo fiscale (grandi evasori, quelli di sempre),
4) sulla vendita di una quota di immobili statali (grandi e vasti edifici generalmente locati a bassissimi prezzi ai soliti lestofanti),
5) eliminazione del blocco delle liquidazioni dei dipendenti pubblici in caso di cattivo andamento di un ramo della pubblica amministrazione (tentativo berlusconiano di avvicinare a sè i lavoratori del pubblico impiego).
La misura (dismissione del patrimonio pubblico) potrebbe essere giocata durante l’iter parlamentare come ultima carta se saranno necessarie nuove risorse.
La necessità di venire incontro alle famiglie (applicando il quoziente familiare), anche dopo le parole pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, potrebbe essere una delle esigenze. Sull’entità di una eventuale operazione di vendite non trapelano cifre, ma è evidente che su un patrimonio di oltre 500 miliardi di euro, anche una piccola quota in questo momento darebbe fiato al governo per ammorbidire alcune delle misure della manovra che non piacciono. Soprattutto per provare ad ammorbidire la fronda interna alla maggioranza guidata dal sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto che ormai chiede apertamente le dimissioni di Giulio Tremonti, colpevole di voler far quadrare i conti, costi quel che costi.
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