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martedì 14 dicembre 2021

Vocabolario del feudo. Quando a Contessa pochi vivevano e tanti sopravvivevano

Agricoltura siciliana dell'immediato

 secondo dopoguerra

Nei primi anni cinquanta del Novecento le condizioni sociali di Contessa E. erano veramente misere. Con il latifondo ancora dominante e con l'emigrazione di massa che non era ancora decollata.

Fra le figure umane che -da ragazzino quale ero- mi sono rimaste impresse nei ricordi ci sono quelle dei "mietitori" e quelle dei "sulamara".

La piazza di Contessa nelle serate di giugno, luglio ed agosto diventava un dormitoio all'aperto. Decine e decide, centinaia di braccianti venivano dalle aree costiere (Menfi, Ribera etc.) per essere impiegati nelle operazioni di mietitura locale. Nei ricordi di chi scrive c'erano i campieri di Vaccarizzo che arruolavano il grosso di quella manodopera, ma anche i piccoli coltivatori locali assumevano "a giornata" alcuni aiutanti stante che mietitrici, trebiatrici ed altri ausili meccanici erano ancora da venire. Quei braccianti dai visi scavati, proprio come adesso li cogliamo nelle opere artistiche di Giambecchina,  erano coloro che alcune riviste e giornali  socialistoidi chiamavano i "poveri Cristi".

L'altra figura che appartiene a quegli stessi anni -di immediato dopo-guerra- è quella dei sulamara, "spigolatori". Raccoglievano, o meglio cercavano assieme alle loro donne e bambini, le spighe rimaste a terra che i mietitori non erano riusciti a legare in covoni. Sulamari erano definiti in quanto oltre a cercare spighe per i campi si davano da fare, nelle aie dove i contadini avevano già "trebiato" coi muli le spighe,   nella speranza di raccimolare qualche pugno di grano rimasto in mezzo alla paglia.

 Quelle immagini, poi ravvivate periodicamente dai discorsi serali negli ambiti familiari sono rimaste impresse nei ricordi dei bambini di allora, che adesso sono ormai settantenni.

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