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venerdì 12 luglio 2024

Invecchiare significa vivere (2)

Seconda parte 

Ci piace riportare il pensiero del prof. Francesco Antonini (1920 – 2008) un pioniere della moderna geriatria: ha ricoperto (1958) presso l’Ateneo fiorentino la prima cattedra dedicata alla geriatria, mantenuta fino al 1990, e ha contribuito a fondare la società scientifica relativa (la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), che ha poi a lungo presieduto. Ha studiato e insegnato temi che le ricerche mediche sull'anziano avrebbero diffuso molti anni dopo. A lui si devono la nascita nel 1969 dell’unità coronarica di Firenze e dell’ospedale riabilitativo dei Fraticini. 

 Fra i suoi meriti c’è l’aver messo in luce che l’emarginazione sociale e l’abbandono degli anziani sono i fattori che concorrono a nuocere agli anziani tanto quanto e ancor di più del loro decadimento fisico. Le riflessioni risalgono a un trentennio fa, ma possiedono -a nostro giudizio- elementi di attualità.

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Riflessione IV (longevità e problema della demenza senile)

-Questa demenza, che andrebbe definita più propriamente pre-senile, va affrontata in tanti modi diversi. Forme gravi come la malattia di alzheiner, ad esempio, sono ancora un problema della ricerca scientifica, ma il decadimento che ci ostiniamo a chiamare “naturale”  è causato, più spesso di quanto si creda, dall’abbandono, cioè dall’emarginazione sociale e dal rifiuto affettivo, specie familiare, oltre che dalla mancanza di esercizio fisico e mentale.

 Non per nulla gli anziani ricoverati a lungo negli ospedali o nelle case di riposo (che sono alberghi  di lusso per pochi e lager  per i più)  vedono spegnersi ogni giorno la voglia di vivere, e con essa la lucidità, il senso di sé, talvolta persino il decoro. Perché sono mancati in primo luogo i rapporti umani, i  riferimenti consueti. Si ha invece bisogno, un bisogno vitale, di contare per qualcuno, fosse anche un cane. Non cessa mai il bisogno di comunicare. Un uomo privato della comunicazione, costretto alla sordità e al mutismo, e’ una creatura che langue, si disfa, scompare. Finita la sua identità, morirà un fantasma. Basta che la vita di un anziano abbia valore per una sola persona, al contrario, perché si trattenga dal morire.

Riflessione V (Non essere incapaci di vedere nella decadenza degli anziani anche la nostra. Trasformare la tragedia della morte in un evento da vivere… perché ci colga vivi).

Si ha paura della vecchiaia  perché se ne colgono solo gli aspetti angoscianti. Quanti hanno detto e scritto che è indecente! Ma essa non è affatto “il limite tra il finire e il nulla”, come la definisce Chateaubriand . Ha infatti il privilegio  inestimabile di essere l’età più libera della vita, in cui  “il fare per obbligo”  può mutarsi nel gusto delle attività cosiddette inutili: culturali, artigiane, talvolta persino artistiche, tanti interessi  che occorrerebbe coltivare da giovani per poi lasciarli in dote al futuro. Ci si soffermi un attimo su questa semplice constatazione: stiamo passando da una società che non ha tempo ad un’altra che ne avrà troppo, perché non saprà come impiegarlo. Bisogna allora educarsi alla vecchiaia , che può venire colmata da libertà sconosciute. Piacere agli altri, ad esempio, non sarebbe più necessario quando venisse  meno la  competizione: basterebbe piacere a se stessi, rimanere gradevoli, essere benevoli, o semplicemente notati, per chi siamo, per quello che siamo riusciti ad essere. Sentirsi capaci  di recitare liberamente l’ultimo atto, sempre più lungo, della commedia umana. Occorre educarsi all’idea del congedo, trasformarlo,  da una tragedia che ci travolge, a un evento, anch’esso da vivere. “Perché la morte mi colga vivo” ricorda!

Riflessione VI (Gli occhi altrui a volte portano imbarazzo agli anziani)

Della vecchiaia fa paura quel senso di imbarazzo che si legge, a volte,  negli occhi altrui. Il corpo nudo di un vecchio e’ l’immagine della disfatta provocata dal tempo.  E’ sconfitto, perché l’anima, a quell’età, si legge solo nel volto. Il volto, si’, può trattenere, addirittura acquisire, la bellezza, dal momento che porta i segni  “profondi”  della nostra storia.


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