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martedì 16 luglio 2024

Invecchiare significa vivere (6)

 Sesta parte

= = = = 

Il prof. Francesco Antonini

Con la lungimiranza un po’ visionaria dei pionieri,
apri’ la strada lungo la quale molti, da subito,
si sono incamminati con passione e
determinazione: quella della vecchiaia
come età del tempo libero e della creatività. 


Ci piace riportare il pensiero del 
prof. Francesco Antonini (1920 – 2008) un pioniere della moderna geriatria: ha ricoperto (1958) presso l’Ateneo fiorentino la prima cattedra dedicata alla geriatria, mantenuta fino al 1990, e ha contribuito a fondare la società scientifica relativa (la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), che ha poi a lungo presieduto. Ha studiato e insegnato temi che le ricerche mediche sull'anziano avrebbero diffuso molti anni dopo. A lui si devono la nascita nel 1969 dell’unità coronarica di Firenze e dell’ospedale riabilitativo dei Fraticini.  Fra i suoi meriti c’è l’aver messo in luce che l’emarginazione sociale e l’abbandono degli anziani sono i fattori che concorrono a nuocere agli anziani tanto quanto e ancor di più del loro decadimento fisico. Le riflessioni risalgono a un trentennio fa, ma possiedono -a nostro giudizio- elementi di attualità.


Riflessione quattordicesima
Jorge Luis Borges, lo scrittore, poeta, saggista e traduttore argentino ritenne la vecchiaia come opportunità e periodo più felice dell’esistenza)

L’artista ha questo privilegio: trovare nella parte conclusiva della vita la sua maggiore creatività!  Né L’età dei capolavori  ha travasato una ricerca di cui si sono molto giovate le mie conoscenze sulla vecchiaia. Sono testimonianze di grandi poeti, scrittori, pittori che hanno espresso e vissuto la loro anzianità con stati d’animo diversi: celebrandola come una festa, accettandola serenamente, magari con ironia, oppure essendone spettatori attoniti, o curiosi, o disperati. Il fatto che spesso sia proprio un autoritratto a concludere la loro visione dell’esistenza dice com’è difficile, forse impossibile, non guardare chi si è diventati, alla fine. Certo, per chi durante la vita non ha voluto sapere nulla, o quasi nulla di sé, il giudizio finale  può essere amaro. E pensare che c’è tanto tempo per capire, e per cambiare. Che imprevidenza, che spreco!

Riflessione quindicesima
(Possediamo tutti la capacità di vedere cosa siamo diventati?)

E’ vero, un handicap storico -fatto di opportunità sociali e culturali mancate- renderà più difficile quest’ultimo sguardo alla propria vita. Ma non c’è vecchiaia, e questo è il suo primato, che non serbi in fondo a se stessa la risorsa e il valore indicibili dell’esperienza: ultima cattedra, la più vera e incontestabile, per sapere che cosa è stato vivere, e che cosa ne abbiamo tratto. Ciò vale per qualunque uomo, per qualsiasi vita.

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