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giovedì 11 luglio 2024

Invecchiare significa vivere.

 

Capita che venga chiesto a chi possiede un genitore “anziano”: come sta tua madre ? Oppure: come sta tuo padre? Ovviamente la domanda viene posta quando la persona di cui si chiedono notizie e’, quanto meno dal richiedente, ritenuta di età avanzata.

  La domanda di per se mostra vicinanza e affettuoso interesse.

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Ci piace riportare il pensiero del prof. Francesco Antonini (1920 – 2008) un pioniere della moderna geriatria: ha ricoperto (1958) presso l’Ateneo fiorentino la prima cattedra dedicata alla geriatria, mantenuta fino al 1990, e ha contribuito a fondare la società scientifica relativa (la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), che ha poi a lungo presieduto. Ha studiato e insegnato temi che le ricerche mediche sull'anziano avrebbero diffuso molti anni dopo. A lui si devono la nascita nel 1969 dell’unità coronarica di Firenze e dell’ospedale riabilitativo dei Fraticini.  Fra i suoi meriti c’è l’aver messo in luce che l’emarginazione sociale e l’abbandono degli anziani sono i fattori che concorrono a nuocere agli anziani tanto quanto e ancor di più del loro decadimento fisico. Le riflessioni risalgono a un trentennio fa, ma possiedono -a nostro giudizio- elementi di attualità.

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 I’ riflessione

Dopo millenni di relativa stabilità, e contravvenendo ai suoi stessi ritmi biologici, l’esistenza ha compiuto un grande salto: i centenari, che solo qualche decennio fa rappresentavano un’eccezione, ora si contano a migliaia. Tutto questo induce a rivedere ogni nostra cognizione sul limite massimo da assegnare alla vita; ed accettare che si possa, anzi che si debba, morire fra i 105 e i 120 anni. Questo, si’,sarà un traguardo difficilmente valicabile, almeno secondo gli attuali criteri di riferimento. Già oggi, tuttavia, la morte di un ottantenne deve essere ritenuta prematura. Avviene, infatti, quasi sempre per malattia, non per usura fisiologica. Sì stenta a crederlo perché siamo riluttanti a liberarci di un’antropologia arcaica che continua a invischiare idee, progetti, speranze.

II’ riflessione

Che si sia più giovani, prima ancora d’essere anziani, di una decina d’anni rispetto alla nostra età anagrafica non è un’espressione soltanto. Quanto al decadere  di certe funzioni, in particolar modo a livello corticale, esso si è spostato sensibilmente più avanti; e considerando che a sessantacinque anni se ne hanno ancora da vivere almeno una ventina, si può ormai parlare di una moltitudine  di “vecchi giovani”. Tutte le scienze umane dovranno tenerne conto per garantire loro una qualità di vita che questa società non poteva fino ad oggi prevedere.

III’ riflessione

Secondo Platone e Plutarco l’attività ideale degli anziani e’ proprio quella politica, perché richiede esperienza, equilibrio, distacco, ragionevolezza, tutte doti che si acquistano e crescono col passare degli anni. Ma posto così, il rapporto “vecchio-saggezza” assume un automatismo francamente debole. La generalizzazione, dunque, è impossibile. Ci sono, e’ vero, individui in cui  quelle qualità si sviluppano al massimo grado e si rivelano di grande utilità per far fronte, ad esempio, a situazioni di pericolo: pensiamo a Churchill, o a De Gaulle, che giunti al culmine del potere in età molto avanzata, e in momenti cruciali per la storia del mondo, dettero prove straordinarie di creatività e di equilibrio. E non dimentichiamo Sandro Pertini che, diventato Presidente della Repubblica a 82 anni, ha avuto fino alla conclusione del suo mandato un ruolo di rilievo per la credibilità, e quindi nella difesa, delle istituzioni. Ma la difficoltà ad accettare i cambiamenti, la tendenza ad accettarli, spesso persino ad impedirli -contrastando di fatto il ricambio generazionale- e’ una caratteristica pressoché comune proprio della vecchiaia. Il potere tende naturalmente  a perpetuarsi, ma si legittima solo attraverso il confronto con un altro potere, più giovane, in grado di provocarlo. E, se ne è capace, di sopravanzarlo. D’altra parte, i tiranni vecchi non sono mai stati i peggiori. Come uscirne?

(Segue)

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