Borghi rurali fascisti, il patrimonio ritrovato
Repubblica — 01 novembre 2008 pagina 1 sezione: PALERMO
LA REALIZZAZIONE dei borghi rurali in Sicilia rappresenta la costruzione di un pezzetto di storia dell'Isola che affonda le sue radici nel ventennio fascista e si protrae, singolarmente, fino agli anni Settanta, in una commistione di luoghi progettati e altri mai realizzati, rimasti nelle cronache del tempo solo per la fatidica posa di «prime pietre», preludio delle promesse disattese.
Alla complessa storia di queste nuove architetture, per la maggior parte sorte in prossimità di campagne, è stata dedicata la giornata di studi "Borghi di Sicilia - Inventario dei borghi rurali fondati dal 1920 al ' 70", organizzata dall' Ente di sviluppo agricolo regionale e dalla facoltà di Architettura. L' incontro ha ospitato gli interventi degli architetti Maria Lina La China e Giuseppe Gangemi, che tra i primi si è dedicato del problema del territorio e dell' agricoltura, insieme allo scrittore Antonio Pennacchi, animatore del sito "Falce e martello" e autore della pubblicazione "Viaggio per le città del duce". L' architetto Gangemi privilegiando un'analisi di tipo storico, spiega: «All' indomani della Grande guerra le contraddizioni sotterranee, dovute al perdurare nella realtà agricola della figura del latifondista come proprietario e di quella del giornaliero come lavoratore, esplodono così come era successo con realtà analoghe. Due i fenomeni che si delineano: da una parte l' occupazione delle terre, a seguito dell' iniziativa del Partito socialista e del Partito popolare; dall' altra con il fenomeno di autonomia e iniziativa contadina, di natura senz'altro diversa dall' assegnazione delle terre, del costituirsi in cooperative delle "affittanze collettive". Agli inizi del decennio 1950-59 l' agricoltura di Sicilia risulta già in crisi per dati obiettivi. L' evoluzione dei rapporti agrari su una linea sempre più capitalistica e mercantile aggrava la situazione già in atto, e in questo periodo si fa l' apologia dello sfollamento dalla campagna e della liquidazione delle aziende marginali. L' agricoltura viene lasciata sostanzialmente disorganizzata, determinando l'abbandono della terra». Dei borghi rurali siciliani si sono occupati alcuni scrittori: Leonardo Sciascia raccontava ne "La corda pazza" la vicenda, unica nel suo genere, della fondazione di Mussolinia, la città dedicata al duce, che nel 1924 arriva in persona e pieno di entusiasmo in quel di Bosco San Pietro, comune di Caltagirone, per collocare la prima pietra della nuova città che avrebbe portato il suo nome. E che, nella realtà dei fatti, rimase poco più di una pietra, anche se per qualche tempo il duce venne aggiornato sull'avanzare dei lavori con abili fotomontaggi. Ma ben presto la verità venne a galla e Mussolini- come riporta Sciascia - ebbe a dire, un anno dopo: «Quando partecipo ad una cerimonia che consiste nella posa di una prima pietra, io sono generalmente grigio, perché ho constatato che talvolta l'erba cresce sulla prima pietra prima che vi si posi la seconda». Insomma Mussolinia - che con le sue stravaganti vicende nel 2004 ispirerà anche un libro di Andrea Camilleri - è una delle grandi incompiute, certo la più evidente vista la scelta toponomastica; mentre un elenco provvisorio che ne conta cinquantadue, riporta nomi di villaggi e borghi quasi tutti realizzati, spaziando per tutta l' Isola: Palermo, Agrigento, Trapani, Caltanissetta, Enna, Monreale, Contessa Entellina, Castellana Sicula, Siracusa, Lentini, Rammacca, Mazara del Vallo, Buseto Palizzolo, divengono nuovi riferimenti per architetture rurali di nuova concezione, autosufficienti nella composizione degli elementi-base che le costruiscono e le compongono. La lista dei villaggi e dei borghi, in realtà è ancora più lunga e complessa, come spiega l' architetto La China: «Al momento ne ho censiti ottantasei, visitandoli personalmente. Le ipotesi per il loro riutilizzo sono differenti, perché se ne può pensare il recupero in termini turistici, per un nuovo turismo rurale, e allora si dovranno necessariamente privilegiare alcune tipologie. Però occorre ricordare che per tutti i borghi esiste il vincolo di pubblica utilità. Insomma, è un ragionamento che occorre fare esaminando ogni singola ipotesi. Alcuni luoghi sono abbandonati, altri ancora in parte utilizzati, altri crollati: occorre una nuova verifica». De "I nuovi borghi della Sicilia rurale" scrive e analizza Carlo Emilio Gadda per la Nuova Antologia: «Le case rurali, che ospitano le famiglie coloniche a mano a mano recuperate a un miglior lavoro ed immesse nel latifondo, trovano presidio nei borghi. Essi vengono costituiti in centri del vivere civile e dovranno appunto investirsi di tutti i compiti e gli attributi del capoluogo, senza tuttavia l' inconveniente che si vuole ovviare: quello d' una fitta popolazione di contadini che si stipa nel villaggio in condizioni di scarsa igiene, di estrema povertà, a una distanza di chilometri dal luogo del lavoro. Il borgo della colonizzazione non ospiterà contadini: ma soltanto gli artigiani indispensabili (meccanici, sarti, stipettai, muratori, calzolai) e le botteghe delle derrate d' alimento o di vario commercio, e gli uffici, i posti sanitari, le scuole. Il borgo deve esser visto come una cittadina sfollata: piccola capitale funzionalistica senza stento e senza gravezza di plebe». Si definisce così la tipologia del borgo che ancora con la descrizione di Gadda è così definito: «Sorgono così in ogni centro la chiesa parrocchiale con l' abitazione del parroco; la scuola con le abitazioni delle maestre; la delegazione della podesteria per i servizi di Stato civile; la sede del Fascio e delle organizzazioni dipendenti; la collettoria postale, con telegrafo e telefono; la stazione dei Reali Carabinieri con gli alloggi; la Casa di sanità, ove avranno a risiedere il medico-chirurgo, la levatrice, un assistente sanitario; una locanda con alloggi, una rivendita di generi vari; botteghe per artigiani e relativi quartieri: e ancora gli uffici dell' Ente di colonizzazione con la Casa del personale». Una apposita delibera individuò gli otto architetti incaricati della progettazione dei borghi, che dovevano essere siciliani perché essendo «nati nell' isola, potessero produrre forme congeniali alla natura e ai paesi di Sicilia, al suo essere antico e nuovo». Il consuntivo del 1940, primo anno della bonifica, si chiude alla voce «case coloniche» con un attivo di 2507 unità costruite e 300 case in corso di ultimazione. Un' ultima curiosità tutta siciliana: mentre i borghi rurali sono destinati all' oblio o quantomeno ad essere relegati ad una particolare espressione architettonica e sociale in tutta Italia, in Sicilia, ancora nel 1967, in provincia di Enna, si realizzava un nuovo borgo rurale. Il modello? Quello del ventennio. - PAOLA NICITA
L'evento e stato organizzato dall'università !
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