Gran parte dei beni ecclesiastici espropriati alla Chiesa con la legge 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose, e la legge 15 agosto 1867 per la liquidazione dell'Asse ecclesiastico finì nelle mani dei latifondisti.
In un prossimo scritto vedremo come fu gestita la suddivisione del patrimonio di Santa Maria del Bosco.
Di seguito riportiamo, al fine di entrare nell'argomento, una analisi di Sergio Romano, storico.dal Corriere della Sera 27.12.2008
1866: PALERMO IN FIAMME UNA RIVOLTA CON TROPPI CAPI
Potrebbe approfondire le ragioni che portarono alla rivolta che interessò Palermo per sette giorni e mezzo nel 1866, e che provocò la morte di migliaia di persone?
Quali furono i motivi che portarono destra, sinistra, contadini, nobili, clero e mafia sotto l' unica bandiera della restaurazione preunitaria?
Quali responsabilità sono da imputare al generale Raffaele Cadorna per i tragici episodi che si verificarono? Andrea Sillioni, Bolsena (Vt)
Caro Sillioni,
Come la guerra del brigantaggio, terminata da pochi mesi, e i Fasci siciliani di trent' anni dopo, la rivolta di Palermo fu una insurrezione senza leader e senza programmi. Alle origini del fenomeno vi furono malumori sociali, risentimenti del clero, confusi desideri di restaurazione borbonica, aspirazioni autonomiste e una forte componente mafiosa. Il fattore che maggiormente contribuì all' esplosione della rabbia popolare fu la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici che il governo nazionale, dopo l'unità, estese al territorio siciliano. Sulla terra espropriata e venduta (circa 250.000 ettari) sarebbe potuto nascere un ceto di agricoltori proprietari destinati a diventare la spina dorsale di una nuova società isolana. Ma gli espropri, come in altre regioni del Mezzogiorno, crearono invece una oligarchia di latifondisti privi di cultura economica e ambizioni imprenditoriali. La gestione ecclesiastica dei beni appartenenti ai monasteri siciliani era stata pessima. Ma quella dei latifondisti fu, per certi aspetti, persino peggiore. Nella sua «Storia della Sicilia Medioevale e Moderna», edita da Laterza, Denis Mack Smith scrive che «lo scioglimento dei monasteri non causò solo gravi privazioni agli stessi religiosi, ma anche una disoccupazione per i laici che fu di circa 15.000 unità nella sola Palermo; e il governo non aveva modo di sostituire le attività benefiche che erano state così importanti per i poveri della città». Vi era quindi in Sicilia, nell'estate del 1866, un barile di polvere che sarebbe potuto esplodere da un momento all' altro. La miccia fu la guerra italo-austriaca. Quando il governo dovette richiamare sul continente, per le esigenze del conflitto, una parte delle forze che presidiavano l'isola, i burattinai dell' insurrezione decisero di agire e chiamarono il popolo alla rivolta. Mentre la Guardia nazionale, per qualche giorno, stette a guardare, i ribelli (circa 18.000, secondo Mack Smith) svuotarono i magazzini, bruciarono gli uffici pubblici, svaligiarono i palazzi. Qualcuno, probabilmente, era animato da ideali politici (i repubblicani, i mazziniani, i patrioti borbonici), ma le masse, in ultima analisi, furono manovrate dagli interessi della mafia e di coloro che preferivano una Sicilia feudale a una Sicilia moderna. Si costituì un comitato di notabili che sostenne di essere alla testa dell' insurrezione, ma i firmatari del proclama sostennero più tardi di avere agito sotto costrizione. Tutto finì quando la marina bombardò Palermo e 40.000 soldati ripristinarono l' ordine. Il governo voleva dimostrare all' Europa che nessuno, cinque anni dopo la proclamazione del Regno, sarebbe riuscito a rimettere in discussione l' unità nazionale. Vi furono negli anni seguenti alcune pubbliche inchieste sulle condizioni dell' isola, fra cui quella di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, pubblicata in un volume che è tuttora molto interessante e per qualche aspetto, purtroppo, attuale.
Sergio Romano
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