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mercoledì 2 giugno 2010

Il giornale della Confindustria riporta un articolo sui precari il cui titolo pone un problema. Sarebbe stato meglio titolare: chi in Sicilia ha creato i 22.500 precari ? Perchè in 20 anni si è evitato di dare loro la stabilizzazione ? Perchè in 20 anni il turn-over della pubblica amministrazione è stato colmato con i figli, le mogli e le amanti dei politici, lasciando "precari" i 22.500 ?

Il Sole 24Ore: Ma dove vivono i sindaci della Sicilia?
Tutti in piazza. A Palermo, dopodomani, hanno preso appuntamento i 390 sindaci della Sicilia, i presidenti delle 9 province e i sindacati. Chiedono al governo nazionale una deroga al "patto di stabilità" per consentire alla Regione il rinnovo del contratto di 22.500 lavoratori precari, gli Lsu (Lavoratori socialmente utili) che da più di vent'anni prestano servizio negli enti locali isolani.
Non possiamo lavarcene le mani, non possiamo mettere sul lastrico tanta gente, la politica non può tirarsi indietro, dice l'assessore regionale al Lavoro Lino Leanza.
Fino a ieri - questo il ragionamento - gli stipendi dei precari siciliani sono stati considerati dallo stato e dalla regione come legittime "spese sociali". La legge del 2006 ha previsto che per il triennio successivo i trasferimenti per gli Lsu sarebbero stati considerati come "sociali" e non sarebbero state inseriti nel computo delle spese per il personale ai fini del rispetto del Patto di stabilità. Il problema, aggiungiamo, è sorto ora: il commissario dello stato - rompendo, per così dire, la tradizione - ha impugnato la norma della legge finanziaria regionale che avrebbe consentito di continuare a pagare gli stipendi ai precari (quelli siciliani sono più della metà di quelli nazionali) e ha messo a nudo il problema.
Come uscirne? Il discorso vale soprattutto per il Sud e la Sicilia. Nella stagione in cui il federalismo fiscale (con l'individuazione dei costi standard dei servizi) è all'ordine del giorno e mentre (lo dimostra il caso Grecia) si fa più stringente l'esigenza di abbattere deficit e debito pubblico, ci sono due possibilità.
Prima possibilità: far finta di nulla, restando nel solco della "tradizione". Nel caso dei precari siciliani questo significherebbe strappare una qualche forma di deroga a un meccanismo che, più che un lavoro vero e certo, assegna un "posto" temporaneo ma sul quale si può contare negli anni, di proroga in proroga e senza troppi controlli sul personale e sulla reale utilità dei lavori previsti.
Seconda possibilità: si aprono gli occhi e responsabilmente la classe dirigente politica e sindacale locale - Confindustria Sicilia, per esempio, ha dato prova di volontà di cambiamento - inverte la rotta. Con una rigorosa indagine sul "chi fa che cosa" prima di avanzare qualsiasi richiesta e prima di staccare gli assegni. Cercando al contempo di riavviare la macchina pubblica secondo criteri di efficienza e moralità.
. Operazione non facile. Ma il Sud - i cui indicatori sociali ed economici sono tutti da allarme rosso - ha una possibilità di recupero per abbattere il divario che lo separa dal resto dell'Italia, e dell'Europa, solo a condizione di assumersi in proprio, e con misure concrete, la responsabilità della svolta mentre chiede la "solidarietà".
La Sicilia ha fatto del suo statuto autonomo una bandiera federalista storica e si considera un "laboratorio" politico di alta qualità. È arrivato il momento di voltare pagina. Privilegi politici compresi. Ad esempio: possibile che gli ex consiglieri della regione divenuti parlamentari nazionali mantengano il vitalizio regionale di 5mila euro netti al mese? Si annuncia una delibera per bloccare la doppia indennità, ma c'è già chi prospetta un ricorso. Ecco un altro esame da laboratorio.

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