di Lorenza Carlassare
Le due facce della cittadinanza democratica, indispensabili entrambe e strettamente collegate: senza i doveri non potrebbero esistere non solo i diritti, ma lo stesso Stato
La prima parte della Costituzione si chiude con i “doveri” costituzionali. Dopo i numerosi articoli dedicati ai principi fondamentali, libertà e diritti, alla fine dei “rapporti politici” tre articoli fissano “i doveri”, riallacciandosi all’art. 2 che mette insieme i diritti inviolabili e “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Sono le due facce della cittadinanza democratica, indispensabili entrambe e strettamente collegate: senza i doveri non potrebbero esistere non solo i diritti, ma lo stesso
Stato. Il primo è la difesa della Patria, “sacro dovere del cittadino”, art. 52; collegato all’art. 11 sul ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di soluzione delle controversie internazionali”, conferma la liceità della sola guerra difensiva per la conservazione della comunità territoriale “indipendente”. Il terzo comma “L’ordinamento delle forze armate si conforma allo spirito democratico della Repubblica”, rompendo con il passato conferma l’applicabilità dell’ordinamento militare, pur nelle sue peculiarità, dei principi fondamentali della Costituzione, dai diritti inviolabili all’eguaglianza. Non meno essenziale per la vita dell’istituzione statale e il finanziamento dei servizi di cui deve farsi carico, è l’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Da dove potrebbe trarre lo Stato i mezzi necessari allo svolgimento delle sue funzioni se non dai membri della comunità che ne sono i destinatari ? Anche questo dovere costituzionale è fondato sulla solidarietà, oggi assai poco sentita. Lo Stato è percepito come “separato” dai cittadini, quasi fosse dotato di risorse proprie (tratte da dove ?) di cui si può soltanto approfittare (a danno degli altri ?). Ciò trova in parte spiegazione nel modo in cui sono spesi i denari pubblici, vale a dire i denari di tutti, il che forse non è ben compreso. Troppo lieve è la riprovazione sociale nei confronti degli evasori fiscali che, sottraendosi ai comuni doveri, usufruiscono gratuitamente dei servizi pubblici asciandone il peso interamente agli altri, spesso in condizioni disagiate (lavoratori dipendenti, pensionati). Già il nostro sistema non è conforme ai principi costituzionali: “Capacità contributiva” e “progressività”. Il comma 2, art. 53 “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” imporrebbe di distinguere diverse (e molteplici) fasce di reddito differenziando le aliquote. Ma, anzicchè disporre le aliquote in modo crescente e graduato aumentandone il numero, il presidente del Consiglio proponeva addirittura di ridurle a due. E l’attuale manovra, mentre lascia del tutto fuori da ogni sacrificio i ceti medio-alti e gli “altissimi”, colpisce unicamente le fasce basse, già impoverite. Siamo al rovesciamento dei principi costituzionali ! Sulla stessa linea appare l’idea, enunciata in questi giorni in relazione alla manovra economica, di passare dalle “persone” alle “cose”; le imposte indirette, in particolare, colpendo tutti in eguale misura, costituiscono il massimo dell’iniquità. Il discorso diviene ancora più rilevante alla luce del successivo articolo riguardante i doveri, l’art. 54.
L’art. 54 è una disposizione volutamente ignorata che parla di cose ancora più scomode del pagamento dei tributi: fedeltà, disciplina, onore. Parole quasi dimenticate, l’onore in particolare, di cui è quasi perduto il concetto, ma anche la disciplina. Il primo comma ha portata generale: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Al dovere di osservare la Costituzione e le leggi si aggiunge, per tutti, il dovere di fedeltà alla Repubblica intesa non solo come forma istituzionale repubblicana scelta dal popolo con il referendum del 2 giugno 1946, ma come ‘res pubblica’ nel senso più ampio di cosa pubblica, cosa comune; appartenenza, dunque, ad una comunità solidale. Repubblica com’è noto è termine usato in Costituzione per indicare non soltanto lo Stato apparato, ma anche lo Stato-comunità, il popolo tutto, le Regioni e gli altri enti territoriali autonomi: la Repubblica, “una e indivisibile” che “riconosce e promuove le autonomie locali” (art. 5) “è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane” (art. 114). Fedeltà alla Repubblica nella sua unità, dunque, rispetto e osservanza della Costituzione, fedeltà ai principi fondamentali del nostro vivere insieme. Ma persino chi esercità pubbliche funzioni disprezza questo elementare dovere: senza conseguenza alcuna ? Tanto più che (comma 2): “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Disporre immunità per chi pretende di esercitare pubbliche funzioni senza dignità e senza onore (addirittura evitando il giudizio su eventuali reati) può essere costituzionalmente consentito ? E, infine, neppure il giuramento per loro ha peso ? Si chiude così la prima parte della Costituzione, che, si ripeteva, a differenza della seconda non deve essere cambiata. Ha senso distinguere le due parti, quasi fossero indipendenti ? Qualsiasi organizzazione, non solo lo Stato, si modella sugli obiettivi: la seconda è in funzione della prima. “Riserva di legge” e “riserva di giurisdizione”, ad esempio, stanno stanno a garanzia di libertà e diritti (art. 13 e ss.: solo la legge può limitarli in via generale, solo l’atto di un giudice nel concreto di un caso, vagliati fatti e norme.
La garanzia è nella natura degli organi cui è affidata la funzione: “Rappresentativo” il Parlamento, “indipendente” dal potere politico la magistratura al fine di esprimere giudizi imparziali. Modificarne la posizione (per il Parlamento già alterata dalla rappresentatività della legge elettorale) non inciderebbe sui diritti ? Ormai, comunque, si parla apertamente di modificare principi e diritti fondamentali. Sta ai cittadini che la Costituzione tutela far sentire la loro voce.
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