Leggi pag. 1 IL MONDO ALL'ALBA DELL'UMANITA' pag. 5
Stiamo provando a combinare letture religiose con
letture storico/archeologiche (=Scienza-Cultura).
Genesi, il primo libro della Bibbia, mutua, secondo tanti archeologi, temi letterari da precedenti tradizioni esistenti fin dall'Età del Ferro. Punta ad affermare -probabilmente- l'idea di una divinità unica e onnipotente, sfruttando vocabolario e simboli di antiche tradizioni e miti (verosimilmente babilonesi). Così vengono spiegate le due descrizioni bibliche -diverse- sul creato.
C'è quasi all'inizio di Genesi un "facciamo" l'uomo, forse riferendosi al nome plurale ebraico di Dio (Elohim), su cui -in seguito- il Cristianesimo, punterà a leggervi o ad insinuarvi la Trinità. In realtà Genesi ha un solo obiettivo, quello di dimostrare, in contrasto con le culture politeiste, una divinità al singolare, il Dio di Abramo, colui che ha voluto la creazione della terra e di tutti gli esseri che la popolano.
Quando l'umanità si accorse della propria "nudità", del proprio egoismo, della cattiveria e dei contrasti, attraverso giochi di parole e doppi sensi, Genesi riferisce del passaggio del genere umano dalla caccia e dalla raccolta gratuita dai campi ad un processo di addomesticazione degli animali e allo sfruttamento della terra (il processo socio-economico evolutivo). In pratica il testo descrive la fase di inizio della Storia, tratteggiata nel Caino e Abele e nella loro crescente tensionre tra il modo sedentario della vita e quello laborioso, tra l'agricoltura stanziale e il nomadismo degli allevatori. Un primo cenno, come dire, dell'alba della vicenda umana.
Quando Genesi vuole trattegiare il sorgere dei contrasti nell'ambito dell'umanità inserisce l'espressione della "conoscenza del bene e del male", un privilegio che l'Eterno riservava a se stesso e che l'uomo via via andò usurpando; ma così facendo egli cominciò a decadere da un orizonte precedente, ritenuto paradisiaco.
La conoscenza del bene e del male usurpata, diventa per l'uomo il peccato. Pare ancora che questa nuova fase dell'uomo vuole dire che non è con l'onniscenza (che compete a Dio), nè col discernimento morale che l'uomo innocente possedeva (e che ha perso) che si può vivere in pace.
L'uomo, già in Adamo ed Eva, che decidono da se stessi su ciò che è bene e ciò che è male, costituisce già una sorta di rivendicazione di autonomia morale, in seguito alla quale egli rinnega lo stato di creatura. E' come compiere un attentato alla sovranità di Dio, o se si vuole una colpa di orgoglio. Il tutto rappresentato nell'immagine del frutto proibito.
(Segue)
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Il credente cristiano:
OLIVER CLEMENT
dal testo Dio è Simpatia
4) La Forza della Preghiera
E' curioso come molti di noi si privano con facilità del necessario. Non accade per il cibo, ma accade per la preghiera, che ci aiuta a ritrovare noi stessi, a distenderci e a riapproprarci della vita e delle relazioni con gli altri, nella preghiera personale e nella preghiera comune. E' un intero mondo da imparare e una fonte di energia che non rischia l'esaurimento.
La preghiera -qualsiasi preghiera, ma non una preghiera qualsiasi, ne riparlerò in seguito -apre l'uomo a Dio e di conseguenza apre a Dio la storia. Allo stesso tempo consente all'uomo di essere pienamente se stesso, poichè, nella profondità del suo essere, è in rapporto con Dio, questo Dio di cui è immagine.
Così la preghiera non nasce da noi ma ci viene data. Lo Spirito Santo -dice San Paolo- prega nei nostri cuori mormorandoci "Abbà, Padre" (Gal. 4,4; Rom. 8,15). Certo, non sappiamo come si prega, ma lo Spirito "viene in aiuto" alla nostra debolezza" (Rom. 8,26).
La preghiera, perciò, è sempre vicina a me. In un certo senso, la mia stessa esistenza è preghiera, ma in modo inconscio. I momenti di crisi, di parossismo o di silenzio intenso, possono farla sorgere. La disciplina della Chiesa -la preghiera della sera e della mattina, l'eucarestia domenicale, anche se vissute in una certa aridità- aiutano a liberare il nostro cuore da questa coltre di distrazioni e di preoccupazioni che ci isolano dal nostro prezioso tesoro. La meditazione, preferibilmente delle Sacre Scritture, può aprirci al soffio dello Spirito ( basta restare alla tentazione di compiacersi in se stessi, in una sorta di fusione infantile...). La preghiera in comune, sostenuta dal canto, se non cade nel ritualismo o nell'estetismo, è un'altra via, importante. Siamo chiamati a diventare quello che siamo nel più profondo di noi stessi, cioè delle "preghiere viventi" (André Louf).
Certo, nella cultura attuale, ci sono difficoltà a raccogliersi. Ma possiamo imporci ogni sera, a porta chiusa e con il telefono staccato, alcuni minuti di silenzio. Dobbiamo distendere la nostra relazione con il tempo, prendere ogni tanto il tempo di meravigliarci, di "fare eucarestia in ogni cosa" come chiedeva San Paolo. Svegliarsi al miracolo di esistere -gli esseri, le cose, noi stessi- e questo risveglio stesso è luce di Dio, richiamo al fatto che Egli si rivela nascondendosi, che è Segreto e Amore. Una breve invocazione, come quella che utilizzaca o che utilizza l'Oriente Cristiano (Signore, abbi pietà di me peccatore, n.d.r.), può aiutarci molto, perchè praticandola scopriamo che abbiamo più tempo per pregare di quanto crediamo.
Celebrare la vita, la sorgente di vita, rende vivi e capaci di far vivere. In quest'universo della preghiera, non ci sono uomini o donne "ordinari". Quando il corso della vita si accellera di colpo, come un fiume che attraversa le rapide, ogni essere umano è capacew di una preghiera, che è un grido: così può trovare delle parole sconvolgenti nella loro semplicità. Ogni essere umano è miserabile nella preghiera; ogni essere umano è geniale nella preghiera. Un giorno, mentre mi trovavo nascosto in una cantina durante un bombardamento insieme ad uno sconosciuto a prima vista del tutto "banale", questo si è messo ad invocare la bontà, ad invocare per se stesso e per tutti il dono della bontà ...
Certo, nella preghiera, il meglio è limitarsi a balbettare la propria gratitudine, la meraviglia di fronte all'abisso -di gioia, di bellezza- che ci rivela questo Dio -per- noi incarnato, crocifisso, che risuscita e ci apre le vie della resurrezione... Ma si può dire anche che bisogna chiedere tutto nella preghiera. L'uomo e la donna "ordinari" sanno allo stesso tempo celebrare e chiedere.
Anche la rivolta può costituire una preghiera, mentre da un'immagine di Dio che nasconde in realtà la sua presenza ci appelliamo ad una Presenza segreta che ci dà il coraggio del rifiuto e della lotta. Appellarsi da un Dio umano, troppo umano, vana immagine, ad un Dio veramente divino, questo è preghiera.
Ogni uomo e ogni donna porta in sé l'angoscia della morte. Tenta di sfugirne denunciando i nemici - e perciò gli ci vogliono dei nemici -, distrugendoli, se può, anche con la schiavità e la tortura. La scoperta, attraverso la preghiera, che siamo resuscitati nel Risorto, che la morte è stata vinta e non è più d'ora in poi che solo un passaggio, una "pasqua" (pessah significa passaggio), ci permette di "amare i nostri nemici", come chiede paradossalmente (apparentemente) il Vangelo. Così potremmo diventare a poco a poco, non in modo volontario, ma per via dello slancio della nostra vita, uomini e donne di pace, che cercano inseparabilmente la giustizia e la misericordia, come dicono le Beatitudini.
Poco importa il luogo della preghiera. Può essere una sontuosa chiesa di Roma o una baracca di quello che veniva chiamato il "terzo mondo". La vera chiesa, sono gli uomini e le donne che comunicano nella preghiera. Se la storia lo permette, e lo permette sempre almeno un poco poichè la preghiera la modifica, questi uomini e queste donne diventeranno creatori di bellezza. Seguiranno l'esempio, nell'oggi di Dio, dei costruttori della basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. Non è un caso che al tempo dell'impero romano, durante le persecuzioni, sia fiorita l'arte delle catacombe: la preghiera, davvero, è la madre della bellezza.
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