Nel XII secolo in tutti gli ambienti europei, dalla Spagna alla Germania, dall'Inghilterra dalla Sicilia, si era propagata nei gangli più vitali della società l'assimilazione -come sostenevano i più tenaci avversari- delle "novità" propagate dai "libri dei gentili e degli infedeli", ormai completamente estranee alla teologia "monastica".
Iniziò sostanzialmente il dissolvimento della certezza di una unica dottrina che comprendeva "tutte le cose umane e divine", e crebbe nelle scuole l'autorità di quei libri che sostenevano esplicitamente l'estraneità del volere divino dal sistema mondano delle cause. Sui problemi dell'anima e della sua natura l'analisi veniva sottratta alla religiosità ed affidata invece alla filosofia.
Fu inevitabile in quel nuovo contesto che gli stessi filosofi e teologi cristiani dovettero imparare a misurarsi con idee, concetti e linguaggi del tutto nuovi e spesso sconvolgenti. Si presentò un orizzonte che frequentemente metteva in difficoltà gli ambienti intellettuali ecclesiastici e, pure, i laici.
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