Detti e Fatti
(ANSA) - PALERMO
"Cosa nostra non rappresenta l'unica matrice criminale di tipo mafioso che opera in Sicilia. Nel versante occidentale conserva un'immutata egemonia benché si registri la presenza molto attiva di gruppi criminali di etnia nigeriana operanti soprattutto nel capoluogo.
Nell'area orientale sono tuttora attive compagini storicamente radicate quali la "stidda" e altre numerose organizzazioni mafiose non inquadrabili nella struttura di cosa nostra". E' quanto riporta la relazione semestrale della Dia diretta da Maurizio Vallone.
"La mafia nigeriana è ben radicata e particolarmente attiva in diversi settori criminali. I sodalizi centrafricani sembrano aver acquisito un vantaggio competitivo nel settore degli stupefacenti - si legge nella relazione - I cults nigeriani sono in grado di governare l'offerta e la domanda, i flussi di sostanze stupefacenti e soprattutto i cospicui proventi derivanti da un mercato che si conferma tuttora fiorente nonostante la pandemia". C'è una crisi di leadership nei vertici regionali e provinciali di cosa nostra. "Il ripianamento delle posizioni di vertice rimane ancora problematico nonostante il ritorno nei territori di competenza di "vecchi" uomini d'onore che hanno ottenuto la scarcerazione di recente. Difficoltà di dialogo, incomprensioni e differenza di vedute sono i sintomi di un "gap" generazionale che può diventare profondo e farsi critico. Il sistema delle reggenze ha consentito una inusuale flessibilità nella definizione delle "competenze territoriali" delle famiglie e dei mandamenti delineando nuovi equilibri di potere quale conseguenza di accordi "inter-mandamentali" volti a trovare utili sinergie per superare il momento di stallo determinato dalle operazioni di polizia sul territorio. I "vecchi" uomini d'onore che fanno ritorno nei propri territori di competenza ambiscono a manovrare nuovamente le leve del potere mafioso ma lo vogliono fare a modo loro a pieno titolo e senza condivisione con i reggenti". (ANSA).
Zelensky, Presidente ucraino
«Comprare gas russo significa finanziare la guerra».
«Smettete di alimentare la macchina militare russa»
Mario Draghi, premier italiano
«Sanzioni indecenti? Di indecente ci sono solo i massacri che vediamo tutti i giorni».
Sergey Karaganov, già consigliere presidenziale per la politica estera sia con Boris Yeltsin che con Vladimir Putin.
«Putin ha detto che se l’Ucraina fosse entrata Nato, non ci sarebbe più stata l’Ucraina. Nel 2008 c’era un piano di rapida adesione. Fu bloccato dai nostri sforzi e da quelli di Germania e Francia, ma da allora l’Ucraina è stata integrata nella Nato. È stata riempita di armi e le sue truppe sono state addestrate dalla Nato, il loro esercito è diventato sempre più forte. Abbiamo assistito a un rapido aumento del sentimento neonazista in quel Paese. L’Ucraina stava diventando come la Germania intorno al 1936-‘37. La guerra era inevitabile, erano una punta di diamante della Nato. Abbiamo preso una decisione molto difficile: colpire per primi, prima che la minaccia diventasse ancora più letale».
Federico Rampini, giornalista
L’America trae vantaggio dalla guerra in Ucraina? Nel fronte italiano dei «pacifisti equidistanti», quelli che non vogliono stare né con la Russia né con la Nato, è scattata la sindrome abituale: bisogna trovare le colpe dell’Occidente in questo conflitto, quindi anzitutto denunciare i benefici che gli Stati Uniti ne ricavano. Sul versante economico: speculerebbero sulle vendite del loro gas all’Europa. Su quello militare: Joe Biden starebbe aizzando l’Ucraina in una «guerra per procura» contro la nemica Russia. Sono argomenti che meritano un esame attento.
L’America è diventata il primo produttore di gas naturale, la cui domanda era già esplosa prima della guerra. Lo stava esportando in Cina, Giappone, Corea. Ora la destinazione geografica di quelle vendite si riorienta in parte verso l’Europa (ma con dei limiti legati all’insufficienza di rigassificatori) e non c’è dubbio che ai prezzi attuali i margini di profitto sono notevoli. Chi ci guadagna davvero? Solo le aziende produttrici di gas, i loro azionisti e top manager. La vasta maggioranza degli americani — e degli elettori — subisce danni: l’inflazione è già all’8%, l’energia è un mercato mondiale e quando i prezzi salgono all’estero rincarano anche sul mercato interno. Il modesto recupero di popolarità di Biden — forse attribuibile alla guerra in Ucraina — sarà cancellato se continua la perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Il disagio verrà accentuato dalla stretta monetaria: per combattere l’inflazione la Federal Reserve inasprisce i rialzi del costo del denaro. L’ex segretario al Tesoro Larry Summers, che fu il primo a denunciare il pericolo
L’America è diventata il primo produttore di gas naturale, la cui domanda era già esplosa prima della guerra. Lo stava esportando in Cina, Giappone, Corea. Ora la destinazione geografica di quelle vendite si riorienta in parte verso l’Europa (ma con dei limiti legati all’insufficienza di rigassificatori) e non c’è dubbio che ai prezzi attuali i margini di profitto sono notevoli. Chi ci guadagna davvero? Solo le aziende produttrici di gas, i loro azionisti e top manager. La vasta maggioranza degli americani — e degli elettori — subisce danni: l’inflazione è già all’8%, l’energia è un mercato mondiale e quando i prezzi salgono all’estero rincarano anche sul mercato interno. Il modesto recupero di popolarità di Biden — forse attribuibile alla guerra in Ucraina — sarà cancellato se continua la perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Il disagio verrà accentuato dalla stretta monetaria: per combattere l’inflazione la Federal Reserve inasprisce i rialzi del costo del denaro. L’ex segretario al Tesoro Larry Summers, che fu il primo a denunciare il pericolo
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