All'alba dell'Unità d'Italia (2)
Quadro politico europeo ed impazienza di Garibaldi.
Nonostante all'alba dell'Unità italiana (1860) il governo non osasse contrapporsi alla Francia di Napoleone III che si era eretta garante dello stato pontificio, Garibaldi continuò ad essere incontrastato protagonista per l'intero decennio che arriverà al 1870 perché Roma divenisse parte integrante del nuovo Regno d'Italia. In questa direzione era sicuramente incoraggiato dalla Gran Bretagna, con cui sempre intrattenne buoni rapporti ed incoraggiamenti.
Il governo della "nuova ricostituita Unità d'Italia" si barcamenava per intanto in varie difficoltà nel tentativo di non rompere con la Francia, non irrigidirsi troppo con l'Impero austro-ungarico che governava sulle Venezie-Giulie e con la Gran Bretagna che pur di togliere la tutela francese dal neo costituito stato italiano non poneva problema alcuno nel risolvere -in qualsiasi modo- la questione romana.
Nell'aprile 1862 lord Palmerston alla Camera dei Comuni si pronunciò perché venisse a cessare il potere temporale dei papi e Roma fosse assegnata al neo Regno d'Italia. Come a voler essere benevolo il governo inglese proponeva che il papa conservasse però la sovranità su alcuni palazzi, prossimi alla Basilica di San Pietro. Fu questo il tempo in cui quell'idea fu lanciata e poi divenne realtà nel 1929, con i Patti Lateranensi.
Sulla scorta di questi sentimenti internazionali di favore Garibaldi continuerà ad attivarsi sia per la presa di Roma che in favore della terza guerra di indipendenza contro l'Austria. Rifiuterà, in questi frangenti, di assumere il ruolo di generale dell'esercito nordista degli Usa che gli fu proposta da quel governo e che trovò l'immediato consenso di Vittorio Emanuele II, che in realtà si proponeva di distrarlo dalle vicende italiane.
(Segue)
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