Anche un forzato anno sabbatico ti rende spettatore attento del lento fluire della vita.
Altri con dissimulate ansie appaiono non più frenetici automi ma solitudini empatiche.
Altri con dissimulate ansie appaiono non più frenetici automi ma solitudini empatiche.
Fra poco lo scheletrito albero si vestirà con i colori della festa della vita.
Paolo Borgia
Gerbidi
e maggesi
E’ trascorso più di un secolo dai forse
dimenticati “Moti di Palazzo Adriano”: una sollevazione contadina contro il padronato,
motivata dalla ‘pretesa’ d’aumentare la propria quota spettante in grano dal
25% al 30% del raccolto, sollevazione sedata nel sangue. Allora la terra del
mio paese dava da vivere ad una popolazione doppia rispetto a quella attuale.
Purtroppo però l’inevitabile incremento demografico, dovuto a migliori
condizioni igieniche e sanitarie e alla diminuzione della mortalità infantile,
produceva una lenta ma continua emigrazione verso ‘il nuovo mondo’.
Jean Tirole, il premio
Nobel che ha capito
come funziona davvero il mercato
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Da ormai cinquant’anni, il plurimillenario
sistema economico, fondato da ‘sempre’ principalmente sull’autoproduzione e sul
baratto, non solo del mio paesino ma di tutto il bacino mediterraneo, che aveva
fatto di questa area il principale crogiolo della crescita culturale della
umanità, si è spento. E’ inevitabile chiedersi il perché di questo disastroso
crollo economico. Nonostante la ostentata pronta reazione, nel primo
dopoguerra, dello stato con i suoi enti di riforma agraria e dei singoli con la
costituzione di cooperative e con l’introduzione di macchine che altrove
venivano impiegate già da molto tempo. L’esito
fu un epocale fallimento economico e forse sociale e chi fallisce, si sa, pensa
inevitabilmente anche ad una propria incapacità.
Credo che una sensata risposta ora ci venga
dall’Accademia reale svedese delle scienze con l’assegnazione il 13 ottobre
2014 del premio Nobel per l’Economia al francese Jean Tirole. "Uno dei più
influenti economisti del nostro tempo", egli "più di ogni altra cosa
ha chiarito come capire e regolamentare i settori industriali con poche,
potenti imprese dominanti" e i rispettivi ‘fallimenti dei meccanismi di mercato’",
che generano prezzi più alti rispetto a quanto sarebbe motivato dai costi, o la
sopravvivenza di imprese improduttive attraverso meccanismi di blocco
all'ingresso di aziende nuove e più produttive.
“Dalla metà degli anni ’80 in avanti, egli ha
dato nuova vita alla ricerca su questo tipo di fallimenti di mercato”, cercando
di rispondere a una domanda per tutte: "come devono i governi trattare con
i cartelli di imprese? e come devono regolamentare i monopoli?". Il suo
lavoro ha una forte influenza sui modi con cui i governi gestiscono le fusioni
o i cartelli e come dovrebbero regolare i monopoli. “In una serie di articoli e
libri, Jean Tirole ha presentato una struttura generale per identificare tali
politiche”, sostenendo che le migliori politiche della concorrenza "devono
essere attentamente adattate alle condizioni specifiche di ciascun settore
industriale". “E l’ha applicata ad un numero di industrie, da quelle delle
telecomunicazioni a quelle bancarie”.
Tirole, che è direttore della fondazione
Jean-Jacques Laffont della Toulouse School of Economics e direttore scientifico
dell’Istituto di economia industriale (IDEI) di Tolosa, oltre che degli studi
sull’economia industriale, si occupa di micro e macroeconomia. Per lui, che non
frequenta la corte dei ‘global village owners’, questo premio, aldilà del
significato in sé, rappresenta una boccata di ossigeno per la prosecuzione dei
suoi studi. Per noi, per il vecchio mondo frustrato, perché tacciato delle più
infamanti accuse, ora si prospetta la
possibilità, specie per le nuove generazioni, di una puntuale investigazione
sulle remote e prossime cause e sulla ricerca dei rimedi più idonei al
superamento delle fraudolente azioni, esterne ed interne, responsabili del nostro
declino.
Ormai l’uomo è cambiato, sembra agire come
‘dopato’ da un scienza che gli conferisce una forza senza precedenti e da una
economia che imprime un impulso incessante (H. Jonas) ma che non è tuttavia in
grado di assumere una responsabilità costituita da nuova sostanza e finalità.
Quando, poi, l’agire umano non è quello di una persona fisica ma di un ente
anonimo, di un grande gruppo finanziario chi risponde? A chi? Di che cosa? Di
chi? Di una impresa dove è l’anima: il luogo interiore non delegabile in cui la
persona umana si dà e si riconosce responsabile?
Lo strapotere dei grandi gruppi sui governi o
dei governi forti sui governi deboli, specie dopo il recente fallimento della
allegra finanza, spinge l’uomo, a passi rapidi, dalle guerre locali verso il
baratro della guerra totale e rende inutili le maschere con cui si travestono i
lupi da teneri agnellini.
Occorre richiamare, tallonare chi può e deve
discernere e decidere contenuti, modalità, direzione e conseguenze dell’agire
per conto della Società affinché riemerga il principio ‘responsabilità’ nelle
relazioni tra ‘gruppi’ e la Società e le sue istituzioni allo scopo di condurli
a quell’esser-io partecipe che è se stesso solo nella condizione del suo vivere
con gli altri e per gli altri.
P. Borgia
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