Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani
Per fare gli italiani si cominciò con lo scrivere la loro storia, che avrebbe dovuto essere parte integrante della nazione.
Fu questa una prima indicazione dei Cavour, Francesco De Sanctis, Pasquale Villari. Senonchè questo proposito fu equivocato alcuni decenni dopo dal fascismo che invece che Storia si mise a fare sciovinismo e nazionalismo, ma fu pure equivocato da certa sinistra che dal 1945 in poi per contrapporsi alla visione del fascismo scomunicò ogni approfondimento storico sul passato della penisola.
Nessuno o pochi studiosi del nostro paese si spinsero nella seconda metà del Novecento a sostenere e sviluppare l’idea di nazione, intesa come concetto storico fondamentale, perché non sarebbe mancata sul suo capo l’accusa di xenofobia. Eppure nello dispiegarsi dei diversi fattori politici, economici, intellettuali, non c’è nulla di strano se si scandaglia sullo “spirito”, il “genio”, il “carattere” unificante delle nostre vicende, considerate in parallelo e/o in contrasto con quelle del resto dell’Europa. Lo abbiamo visto da due anni in quà a Contessa Entellina: nulla è più ovvio che difendere l'identità arbëresh di fronte all'ignoranza di chi proviene da Cianciana.
Giustino Fortunato, un intellettuale meridionale, nel 1915 conscio della mancata integrazione del nord e del sud della Penisola, evidenziava la «debolezza italiana» che individuava soprattutto nella poca o nessuna coscienza «della realtà morale ed economica del paese, dall’unità ad oggi», e peggio ancora «della realtà storica, anteriore e posteriore al periodo del Risorgimento». Anni prima una personalità certamente non suscettibile di essere accusata come promotore di potenza nazionalistica, come il socialista Antonio Labriola, aveva ritenuto indispensabile interrogarsi sul problema della storia d’Italia, fenomeno di unità di temperamento e di inclinazioni su cui la nazione è costituita.
Ad unificazione avvenuta il problema di costruire la trama su cui Nord e Sud costituivano una Unità non fu affrontato come sarebbe stato naturale, ma nei primi decenni del Novecento e soprattutto nel primo dopo guerra il «nazionalismo», la malattia del nazionalismo, divennne il rischio della «storia nazionale». E fu rischio che non tardò a trasformarsi in sciagura: il fascismo, con la relativa retorica ed esaltazione che portò fino alle leggi razziali.
Ma quali sono i momenti o le fasi più importanti della storia d’Italia ?
1) l’età barbarica e feudale, quasi presupposto della storia del paese;
2) le città e borghesie di città; signorie, principati e relativa coltura del Rinascimento; Meridione d’Italia con i suoi regni nostalgico normanni;
3) l’Italia e l’Europa, dal primo medioevo, alla fine del XV, al principio del XVIII secolo;
4) il rinnovamento del XVIII, fino al 1815;
5) l’azione e il pensiero politico dal 1815 al 1861 circa, cioè alla morte di Cavour;
6) l’Italia di oggi.
Da questi passaggi viene fuori non davvero una Storia unitaria, ma una prima forma di identità politica come «sistema di Stati», fino allo sconvolgimento rivoluzionario e alla sistemazione napoleonica, alle lotte nazionali del XIX secolo, nel cui scenario nasce il nostro Risorgimento, all’interno di uno scontro non più soltanto peninsulare, ma ormai mondiale, delle «Grandi Potenze» tra 1870 e 1918.
La parentesi del fascismo e il disastro della guerra fascista, conclusosi con la resa incondizionata del settembre 1943, aprirono la nuova stagione culturale con la necessità di «snazionalizzare la storia» dei vari popoli, che andavano giudicati «unicamente secondo il valore umano e universale» -Croce-.
Nasceva così, nel secondo dopoguerra, la “storiografia politica della disfatta”, interessata a sottolineare unicamente le deficienze e le debolezze dello Stato unitario, posteriore al 1861. Non la nazione e le sue istituzioni politiche, non l’unità etnica e culturale del suo popolo, non la funzione-guida delle sue classi dirigenti, non la sua presenza sullo scenario internazionale e l’espansione del suo lavoro nel mondo, ma i contropoteri locali (esasperati fino ad oggi dalla Lega Nord) e gli antagonismi delle classi subalterne divenivano il centro della storia italiana.
La storia d’Italia si trasformava così in antistoria d’Italia, nei termini in cui è stata accumulata nella Storia d’Italia Einaudi, pubblicata a partire dall’inizio degli anni Settanta.
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