In questo 150° Anniversario dell'Unità d'Italia è interessante capire, sia pure attraverso piccoli indizzi, cosa ne pensassero della rivoluzione liberale i 'contessioti' nel 1860.
Non fu facile in quell'anno trovare all'interno della comunità un liberale, un uomo aperto alle idee illuministiche o anche romantiche che esaltassero l'identità dell'Italia che si voleva creare, come era nelle intenzioni dei Garibaldi, Mazzini etc.
A pigliare in mano la guida della comunità, i cui vertici dirigenti erano eccessivamente conservatori per non dire reazionari, è arrivato da Salaparuta un 'patriota' che impresse la svolta auspicata dai nuovi tempi.
Dei fatti malavitosi accaduti nella transizione tra i due regimi parla ampiamente Anton Blok sul libro di cui abbiamo intrapreso su questo Blog la lettura (La mafia in un villagio della Sicilia Occidentale) e che ci proponiamo -nel tempo- di proseguire. Al livello popolare la gente, i contadini si aggrapparono alla promessa garibaldina di divisione delle terre demaniali ed ecclesiastiche e si schierarono per il rinnovamento, ma il gruppo dei gabelloti-borghesi (il gruppo dirigente locale) mise in atto serie azioni intimidatorie contro le aspettative di chi prendeva posizione per la rivoluzione.
A cose fatte, a crollo dei Borboni avvenuto, tutti -a Contessa- si allinearono alla novità (gattopardismo).
Su una popolazione di quasi 3.500 abitanti, gli aventi diritto al voto nel plebiscito di adesione al Regno d'Italia furono 242. Votarono per l'adesione 236 elettori, votarono contro l'adesione 6 elettori. Nessuno si astenne.
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