Questione Meridionale (III)
In quegli anni cinquanta del Novecento, in termini di sviluppo e rinnovamento strutturale, tutti i provvedimenti per il Mezzogiorno agricolo si rivelarono completamente inadeguati a colmare la distanza che lo separavano dal Nord. La disoccupazione in più aree superava il 50%; appariva evidente -stante il contesto economico- che esisteva una sovrappopolazione. Poveri erano i coltivatori diretti, i mezzadri ed i coloni ed apparve immediatamente che la Riforma Agraria non costituì affatto il volano di cui i politici del tempo parlavano ed avevano immaginato.
Caratteristica di quegli anni dell'uso della spesa pubblica, soprattutto delle opere pubbliche, fu di essere slegata da qualsiasi, sia pure minima, programmazione. Si trattò di interventi mirati non con ottica di sviluppo socio-economico ma di polverizzare la spesa su piccole iniziative il cui scopo era di rispondere a puri criteri clientelari, di favoritismi anche spiccioli. La Cassa del Mezzogiorno divenne la cassa del Partito di maggioranza di allora con l'esclusivo compito di alimentare clientele in vista delle elezioni.
In quel brodo del giorno per giorno, in quell'intreccio di nuovo affarismo non fu difficile rianimare il fenomeno della Mafia, che la dittatura fascista aveva sterilizzata in quanto non tollerava poteri concorrenti alternativi all'autorità del partito. La Dc di allora non esitò a gestire il denaro pubblico al fine di creare un blocco sociale a lei favorevole, ovviamente "a grande rischio", pur di dislocarlo in funzione anti-comunista soprattutto, ma anche anti-socialista e anti-sindacati.
(Segue)
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