Eleuterio Fortino su L’Osservatore Romano del 26 marzo 2010
così presentò la tradizione su “Lazzaro” ancora presente nelle Comunità
italo-albanesi.
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La storia delle numerose comunità nel contesto della
situazione culturale dell’Italia meridionale, in particolare della Calabria e della Sicilia, fa
constatare che, nei periodi passati di diffuso analfabetismo, la propria
cultura è stata trasmessa per mezzo della tradizione orale.
Si trattava ed ancora in una certa misura si tratta di gruppi
consistenti di gente che parlavano la lingua albanese, che usavano la lingua
greca nella liturgia e che, a differenza della maggioranza locale latina, era
di tradizione bizantina; inoltre i pochi che nei secoli passati potevano frequentare qualche scuola erano
obbligati a seguire la lingua italiana, non essendo previsto alcun insegnamento
proprio.
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Nonostante il trascorrere
del tempo alcune tematiche religiose sono tuttora trasfuse nel folklore che è diventato canale
di comunicazione, particolarmente per i momenti centrali dell’anno liturgico
come per la passione e per la risurrezione di Cristo, per il Natale e per altre
feste.
Esiste un ampio e diffuso
repertorio con una grande quantità di varianti da luogo a luogo. Questa
tradizione è diffusa nell’intera regione balcanica fino alla Romania. Una di
queste è la Resurrezione di
Lazaro.
Nella Chiesa bizantina il sabato precedente la
Domenica delle Palme si commemora liturgicamente la risurrezione di Lazzaro.
La “memoria” di questo
intervento straordinario di Cristo ha grande rilievo liturgico, e kerigmatico.
Appartiene al nucleo centrale della fede cristiana: la risurrezione dell’uomo.
Nel simbolo
niceno-costantinopolitano il fedele professa: “Aspetto la risurrezione dei
morti”.
Il tema, nelle comunità italo-albanesi, è entrato anche nel folklore
religioso.
Nella tradizione popolare arbëreshe alla vigilia
di alcune grandi feste, gruppi di giovani sogliono recarsi di casa in casa per
cantare inni popolari di augurio, inerenti alla festa celebrata.
Tra gli albanesi d’Italia,
con termine proveniente dal greco, si chiamano Kalimere (Buon giorno).
Sono canti di augurio di
buona festa. E nello stesso tempo sono strumenti di una catechesi popolare che
serve a cementare la comunità e a trasmettere elementi della propria identità
culturale e religiosa.
Le kalimere
vengono cantate con musiche che variano da luogo a luogo. Nella prima strofa il
gruppo dei cantori chiede attenzione e indica l’oggetto del canto come “una
buona novella”: “Buona sera – buon mattino a darvi son venuto – una buona
novella. Un miracolo -fece Iddio davanti a tutti – in Betania”
Quindi il canto racconta che c’era un uomo di nome
Lazzaro che aveva due sorelle, “amato da Cristo”. Poi si narra la morte, la
sepoltura, il pianto delle sorelle, il rimprovero fatto a Gesù per la sua
assenza, perché se fosse stato presente, “non avrebbero perduto” il fratello.
Gesù le consola: “Tergete quelle lacrime non abbiate timore perché nel sepolcro
Lazzaro dorme. Non abbiate timore – io vi ripeto, io sono la vita – io sono il
vero Dio”.
Ma esse sanno che è morto, da quattro giorni ormai
e già manda cattivo odore. Quindi Gesù con voce forte chiama Lazzaro a
ritornare in vita, che venga a raccontare come è terribile rimanere nel buio
della terra nera.
“Si levò Lazzaro, uscì dal
sepolto, adorò Iddio”.
La kalimera al termine dà il suo insegnamento: “Chi vive con fede – e con
rettitudine, per risorgere – egli muore”.
La risurrezione anticipata di Lazzaro preannuncia
la risurrezione di Cristo stesso e quella di tutti gli uomini.
I testi liturgici a cui si ispira la kalimera dichiarano la risurrezione
di Lazzaro come rafforzamento nella fede della “comune risurrezione.
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