Riflessioni sulla Letteratura (5)
Nei periodi di transizione, pure la cultura affonda
Il XIV secolo fu in un certo senso un tempo di transizione, con effetti concreti nelle profonde trasformazioni sia sul piano economico che su quello politico che probabilmente furono visti come premonitori di forti disagi esistenziali.
La strada allora perseguita e realizzata fu quella che oggi sul libri leggiamo essere stata la civiltà comunale. Quella delle lotte di fazioni con l'Italia divenuto paese proverbiale dell'attività bellica che peraltro si presentava assoldando truppe mercenarie e compagnie di ventura straniere.
Fu quello il tempo in cui il denaro pubblico serviva 1) per tenere tanti soldati retribuiti 2) tanti ciambellani, consiglieri e tantissimi notai, 3) tante Compagnie incaricate di curare le relazioni diplomatiche con gli altri -tanti- Stati e staterelli.
Fu davvero un tempo, quella seconda metà del Trecento, in cui le tante ricchezze fino ad allora prodotte ed accumulate nelle regioni centro-settentrionali finirono in spese militari per sostenere eserciti con costi ben superiori le possibilità. L'imposizione di tasse e gabelle applicate sui generi alimentati di prima necessità non poteva che creare le condizioni di emarginazione delle fasce più deboli del tessuto sociale (contadini, piccoli artigiani, salariati delle botteghe).
Le stesse grandi famiglie fiorentine, e non solo, arricchitesi nel primo trecento finanziando i vari regni europei di Filippo il Bello (Francia), Eduardo III (Inghilterra), vennero a trovarsi in serie difficoltà e addirittura in situazione di fallimento stante il rifiuto di quei monarchi a riconoscere gli immensi debiti accumulatisi ed ormai impossibili da assolvere.
E fu, pure, il tempo delle pesti, conseguenti della vasta miseria, disoccupazione e conflittualità sociale.
(Segue)
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