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mercoledì 6 ottobre 2021

Il famoso caso di Sciacca ... ... Avv. Domenico Cuccia

 Il ruolo degli stratioti albanesi nel famoso caso di Sciacca

di Domenico Cuccia

Molti coloni albanesi delle prime comunità arbëreshe siciliane erano di origine militare. Questa circostanza è riconosciuta dagli storici siciliani che narrano degli avvenimenti dell’Isola tra la fine del 1400 e i primi cinquanta anni del 1500 (nota 1).  Non sempre, comunque, vi sono prove evidenti atte a dimostrare tali origini. In un caso, però, le vicende determinate dalla presenza di mercenari albanesi in Sicilia sono ampiamente documentate e sono descritte sia da storici siciliani che da storici arbëreshë. Mi riferisco al famoso caso di Sciacca che nell’anno 1529 vide contrapposti due nobili, il conte Sigismondo Luna e il barone Giacomo Perollo, in competizione tra di loro per la supremazia sulla città di Sciacca. La vicenda si concluse con la vittoria del conte Luna che, novello Achille, legò ad un cavallo il corpo straziato del barone Perollo e lo fece trascinare per le strade della città di Sciacca. Dopo fu costretto a lasciare Sciacca e a rifugiarsi a Roma, dove sperava di ottenere la protezione del Papa Clemente VII, suo zio. Il Pontefice chiese all’imperatore Carlo V clemenza per suo nipote, ma l’imperatore, sdegnato per il comportamento del conte Luna, gliela negò. Il conte, pertanto, per sottrarsi alla condanna capitale comminata contro di lui dall’Imperatore o a una vita da esule fuggiasco, morì suicida, lanciandosi nel Tevere.  

Ma tornando alla contrapposizione tra i due nobili saccensi, un ruolo determinante per la vittoria del conte Luna fu data dagli 80 cavalieri albanesi, provenienti dalla colonia di Palazzo Adriano, comandati da Giorgio Camizzi di Palazzo, “il Georgius Comes Albanesis, nequissimus vir delle cronache siciliane”. La vicenda è descritta, da parte arbëreshe, da Gabriele Dara in un articolo pubblicato nel Fjàmuri del DE RADA (an.I, n.7, 30 aprile 1884). Gli stessi fatti sono descritti anche da Giuseppe Schirò, a pag. 245 del volume VIII, Saggi (nota 2). Secondo tali narrazioni il Camizzi affrontò le truppe inviate dal Viceré in soccorso del barone Perollo e sfidò a duello il barone Statella che ne era il duce. Quindi, dopo averlo ucciso, tornò indietro tra le schiere realiste che rimasero attonite e non ebbero animo di recargli alcuna offesa.

Il testo richiamato alla nota 6

Della stessa e di altre vicende riguardanti gli stratioti albanesi si occuparono pure gli storici siciliani che hanno narrato i fatti del caso di Sciacca. Si cita in particolare il testo “Il Famoso Caso di Sciacca”, di Francesco Savasta, Palermo 1843 (nota 3); “Il Compendio del caso di Sciacca di Renda Ragusa”, scritto in latino, (nota n. 4); “La Sicilia sotto Carlo V. Imperatore” di Isidoro La Lumia (nota n. 5).

I giudizi che gli storici siciliani danno nei confronti dei cavalieri albanesi non sono molto lusinghieri. Nel testo del Savasta, pag. 211, parlando delle truppe del Conte Sigismondo Luna, si afferma: “Vennero pure a servirlo truppe di soldati facinorosi, stipendiati a sue spese, come molti greci di pessima vita, sotto la condotta di Giorgio Comitivo Greco, uomo di assai scellerati costumi, e che si metteva in ogni pericolo: tutti questi insieme formarono il numero di 400 pedoni e di 300 cavalli.” E ancora, il Savasta riferisce che, tra le condizioni poste dal barone Statella al Luna, per il perdono del Viceré, vi era la consegna del capo dei greco-albanesi Giorgio Comito. Sempre nella pagina 292 del Savasta si parla del ruolo dei “greci” nella presa del castello del barone Perollo e nella pagina 293 viene descritta la crudeltà dei soldati “greci”. Nel testo di Renda Ragusa, che era un sacerdote gesuita, a pag. 10 si parla così delle truppe del conte Luna: “Tra questi ultimi primeggiava un certo Giorgio Comito, uomo scelleratissimo dei Greci Albanesi dimoranti in Sicilia, conduttore di soldati”. Sempre lo stesso autore parla di un certo Erasmo Lorìa che, “con una masnada di greci”, ritrova il barone Perollo che si era nascosto per sfuggire alla furia assassina del conte Luna e dei suoi uomini. Il La Lumia, che si dilunga, in nota, in una descrizione sull’origine delle colonie albanesi di Sicilia, così si esprime: “veniva agli stipendi del Conte un Giorgio Comito, arrisicatissimo masnadiere, con una banda di Greci-Albanesi tolti alle colonie di fresco stabilite nell’isola; e colle fogge, colla lingua, colle armi e colle usanze natie questi figli dei commilitoni del famoso Castriotta recavano la originaria ferocia, ch’era bastata a rintuzzar tanto tempo la potenza invaditrice dei Turchi. “

Sia le fonti siciliane che quelle arbëreshe mettono in risalto il ruolo fondamentale avuto dai mercenari albanesi nella vittoria del conte Luna. Le fonti non sono concordi sul numero preciso di soldati albanesi che hanno partecipato alla guerra tra le due grandi case nobiliari saccensi. Quelle arbëreshe (Dara, Schirò) parlano di 80 cavalieri provenienti dalla colonia di Palazzo Adriano; le fonti siciliane parlano di 300 cavalieri e 400 fanti al servizio del conte Luna, includendo, però, anche le truppe provenienti da altri territori siciliani, quali, ad esempio quelli di Bivona. La presenza di numerosi mercenari di origine albanese provenienti dalla colonia di Palazzo Adriano, dimostra, comunque, che anche successivamente alla fondazione delle colonie (nota n.6), molti albanesi non avevano abbandonato le antiche abitudini di intervenire nelle guerre come stratioti che combattevano, dietro compenso, al servizio di una causa e di un Signore.  

I cronisti e gli storici siciliani, come abbiamo visto, attribuivano a questi soldati albanesi terribili epiteti, che dimostrano la concezione negativa che avevano nei confronti degli stessi. Il capo degli stratioti albanesi, Giorgio Camizzi di Palazzo, come abbiamo detto, veniva definito Georgius Comes albanesis, nequissimus vir. Il più notò degli storici che hanno raccontato i fatti, Isidoro La Lumia, mette poi in correlazione l’abilità guerriera e la crudeltà dei mercenari che hanno combattuto per il conte Luna, con gli albanesi che, sotto la guida di Giorgio Castriota Skanderbeg, combattevano contro i turchi.

Dalle cronache siciliane che hanno descritto il caso Sciacca emerge, quindi, l’ostilità che i siciliani avevano nei confronti degli albanesi, di cui è un esempio il famoso detto “Si viri un grecu e un lupu spara a lu grecu e lassa lu lupu”. Traducendo in italiano “Se vedi un greco e un lupo spara al greco e lascia stare il lupo” (nota n.7). Il detto è molto significativo perché nella realtà contadina del 1500, il lupo costituiva il maggiore pericolo che si poteva incontrare nelle campagne siciliane.

Con il passare degli anni gli arbëreshë si sono, comunque, completamente integrati, mantenendo, però, vivi alcuni valori propri della loro identità e dalla loro storia. E proprio dalla comunità palazzese proviene una delle figure più importanti che gli arbëreshë hanno espresso in Italia, quella di Francesco Crispi, patriota e artefice dell’Unità d’Italia, più volte Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia.

 

Nota 1. Secondo lo storico Tommaso Fazzello (De Rebus Siculis, Dec 1, lib. X ed. 1558 pag. 233) la colonia albanese di Contessa è stata fondata da soldati albanesi residenti prima nel casale di Bisiri, presso Mazara del Vallo. Non è certo l’anno preciso della fondazione che alcuni indicano nel 1450.

Nota 2. Giuseppe Schirò “Opere, volume VIII Saggi”, a cura di Matteo Mandalà pag. 245, pubblicato da Rubbettino Editore, anno 1997.

Nota 3. Francesco Savasta “Il Famoso Caso di Sciacca”, Sigma edizioni, Palermo 2000, Ristampa anastatica dell’edizione di Palermo del 1843.

Nota 4. Girolamo Renda-Ragusa “Compendio del Famoso caso di Sciacca”, tradotto dal latino dal sacerdote G. Di Marzo-Ferro.  

Nota 5. Isidoro La Lumia “La Sicilia sotto Carlo V. Imperatore”, pubblicato nell’anno 1862 a Palermo presso I Fratelli Pedone Lauriel. pagine 225,229.

Nota 6. I capitoli di Palazzo Adriano sono stati stipulati nell’anno 1482. Vedasi il volume “I Capitoli delle Colonie Greco Albanesi di Sicilia” raccolti e pubblicati da Giuseppe La Mantia nel 1904. II edizione, con prefazione di Ignazio Parrino, pubblicata nell’anno 2000 dalla Tipografia Cortimiglia Corleone.

Nota 7. Alcuni sostengono che il detto non sia nato contro gli arbëreshë (comunemente definiti dai siciliani, cattolici di rito latino,  greci), ma contro i bizantini che dal 551 d.c. sino alla conquista araba, completata nel 963 d.c., avevano dominato la Sicilia. Ad avviso di chi scrive, però, nel periodo bizantino non c’erano ancora armi da fuoco che, invece, erano presenti alla fine del 1400 e nel 1500, quando gli arbëreshë si stabilirono in Sicilia, quindi anche se il detto fu forgiato contro i bizantini, sicuramente è stato poi riferito agli albanesi venuti in Sicilia.

Avv. Domenico Cuccia

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