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giovedì 1 ottobre 2020

Epidemie trascorse. Quando le difese dell'uomo erano fragili, o inesistenti.

     L'uomo del ventunesimo secolo era convinto di essere immune da certi malanni del passato, dalle epidemie che ci avevano descritto, per attenerci ai più noti, Boccaccio o Manzoni. Invece siamo da mesi sotto la pressione del "coronavirus".

  Ci è capitato, nel tentativo di rielaborare per i prossimi mesi il calendario che riportiamo sul Blog, di imbatterci in frequenti, ricorrenti, epidemie che hanno sterminato milioni di esseri umani. Fenomeni che fanno pensare che non è affatto vero che l'uomo sia il "signore" della terra. Pare proprio di no.

  Vediamo cosa è accaduto a cominciare dal 1835.

Si diffonde in quell'anno in tutta Italia, in particolare nel Regno di Sardegna e nelle città di Livorno e Venezia, una violenta epidemia di colera che provoca nelle varie realtà territoriali morti a centinaia. Dopo un paio d'anni sembrò che l'epidemia fosse scomparsa  ma nel luglio del 1849 a Venezia rispuntano nuovi casi di "colera" che di là si espandono un pò ovunque.

Nell'agosto del 1854 il "colera" è segnalato a Milano, ma pochi giorni dopo a Genova già si contano olte 1500 casi e 600 morti. Nell'agosto del 1865, ad unità d'Italia realizzata, il colera è segnalato ad Ancona e subito dopo in parecchie altre città del centro Italia.

Ancora nel mese di agosto del 1866 il colera fa morti in particolare a Napoli, Genova e Torino. Un anno dopo, 1867 il colera è diffuso in Sicilia, ma fa morti pure nel Nord a Bergamo e Brescia, Il Governo dichiara debellata l'epidemia di colera in tutta la penisola il 13 dicembre 1873; restano tuttavia isole nel napoletano dove però è contenuta nell'ordine di alcune decine di morti giornalieri.

Nel 1884 -nuovamente- il colera arriva da alcune navi provenienti dalla Birmania, a cui viene imposta la quarantena.

Racconta De Cesare “ La città (Napoli borbonica)
 era un letamaio; e quando fu visitata
dal colera, non soltanto la
popolazione, ma il Re riteneva
non essere il morbo alimentato dal
luridume, ma da contagi misteriosi.
Ferdinando II aveva comuni con
la parte infima del suo popolo i
pregiudizi e le paure. In tempo di
epidemie, egli colla Corte si rifugiava
 a Caserta, o si chiudeva a Gaeta, avendo
un vivace sentimento di disprezzo per
Napoli, che chiamava casùlone ed
abbandonava a se stessa. “

Le più importanti  notizie ci sono
pervenute dalla penultima epidemia
1884  dall'1 al 10 settembre furono
riscontrati ufficialmente 3337 casi,
di cui solo 349 riferiti ai quartieri dei
ricchi e ben 2988 ai quartieri poveri e malsani.
Il colera in quel 1884 divampa da più fronti. Si sviluppa in Francia meridionale e si diffonde in Italia per mezzo dei lavoratori stagionali lì emigrati, che per sottrarsi al contaggio in realtà lo introducono diffusamente lungo l'Italia. A differenza del passato la malattia (ad eccezione di Napoli dove i morti furono quasi ottomila) investì più le campagne ed i piccoli centri che le grandi città. L'ondata  epidemica, la più lunga del secolo,  si protrasse per tre anni continui, alternando periodi di recessione a fasi di ripresa, causando circa 30mila morti. 

Da rilevare che in quella occasione parecchi deputati della Sinistra (radicali e socialisti)  accorsero a Napoli per fare i volontari nei servizi sanitari: Felice Cavallotti, Andrea Costa, Filippo Turati e Anna Kuliscioff, i più noti. Il re visitò gli ospedali della città promettendo lo sventramento di Napoli  per riportarla a condizioni di vivibilità igienico-sanitaria. Nel gennaio del 1885 il presidente del Consiglio De Pretis  presentò in Parlamento un progetto di "risanamento" della città. Non mancarono le critiche poichè quel progetto mirava più al decoro della città che ai problemi strutturali da cui il colera trovasva alimento (=il sistema fognario).

Potremmo continuare ancora con le vampate di epidemie che ricorrentemente spuntavano lungo la penisola; lo faremo in seguito, e non solamente fermandoci al colera.

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