«L’Italia è da anni in recessione, la disoccupazione è già elevata e le
aziende che volevano licenziare lo hanno già fatto».
«La disoccupazione è un incentivo per i governi ad agire»
«Gli elettori caccino quei governi che non
agiscono sul lavoro»
ANTONIO POLITO, direttore de Il Corriere del Mezzogiorno
Da
molti punti di vista, quello di Renzi è un governo extra-parlamentare; forse il
primo di una nuova era. Non solo perché il premier non siede in nessuna delle
due Camere: c’era già il precedente di Ciampi, anche se gestito con altro
stile. Ma per motivi più di merito.
Si moltiplicano infatti i luoghi di decisione politica esterna che il
Parlamento non può rimettere in discussione: il Patto del Nazareno, un discorso
nella Direzione del Pd, un incontro estivo con Draghi. La stessa ratifica
parlamentare si fa al contempo obbligata (con la fiducia) e vaga (con la
delega), trasferendo sempre più il potere legislativo all’esecutivo: come è
avvenuto sulla riforma dell’articolo 18, di cui nei testi votati non c’è
niente, e tutto resta affidato alla tradizione orale e agli impegni verbali.
Il parlamentare è ormai un’anima morta, legata al leader da un
ferreo vincolo di mandato; il che, come in ogni servitù,
lo induce alla rancorosa vendetta ogni volta che può agire in segreto, ad
esempio col triste spettacolo della mancata elezione dei giudici della
Consulta. In alternativa, se non è d’accordo, può solo disertare dal suo
mandato (assentandosi o dimettendosi).
MICHELE AINIS, editorialista del Corriere della Sera
I partiti
agonizzano, i sindacati rantolano e neanche gli italiani stanno
troppo bene. Ci attende un futuro orfano di queste grandi organizzazioni? A
leggere i numeri, il futuro è già iniziato. Il Pd in un anno ha perso l’80% dei
suoi iscritti: ora sono 100 mila, quando il partito di Alfano ne dichiara 120
mila. Ammesso che sia vero, dato che alle Europee l’Ncd in Campania ha ottenuto
meno voti che iscritti. Ma pure la metà basterebbe a rendere felice Forza
Italia, che fin qui ha racimolato la miseria di 8 mila iscrizioni.
Sulla carta, va meglio ai sindacati: 12 milioni e 300 mila tessere. Non
senza dubbi, anche in questo caso: nel 2012 la Confsal ha denunziato almeno 3
milioni d’iscritti fantasma. E in ogni caso con un’emorragia nel settore
privato (un milione d’associati in meno fra il 1986 e il 2008) e una flessione
anche fra i dipendenti pubblici (dal 10% al 16% nella sanità, nelle Regioni,
nei ministeri). A turare la falla, soccorrono immigrati e pensionati. Non i
giovani, che se ne tengono a distanza. Sicché pure in Italia sta per risuonare
l’annuncio della Thatcher: nel 1987 disse che il numero degli azionisti aveva
superato quello degli iscritti al sindacato. Del resto è un’onda che viene da
lontano. Nel 1990 la Dc sommava 2.109.670 iscritti; otto anni dopo il Ppi ne
aveva 197 mila.
Si moltiplicano infatti i luoghi di decisione politica esterna che il Parlamento non può rimettere in discussione: il Patto del Nazareno, un discorso nella Direzione del Pd, un incontro estivo con Draghi. La stessa ratifica parlamentare si fa al contempo obbligata (con la fiducia) e vaga (con la delega), trasferendo sempre più il potere legislativo all’esecutivo: come è avvenuto sulla riforma dell’articolo 18, di cui nei testi votati non c’è niente, e tutto resta affidato alla tradizione orale e agli impegni verbali.
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