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sabato 8 gennaio 2022

Cosa ci piace leggere ... sul Corriere della Sera

RASSEGNA STAMPA

 La lingua oscura delle leggi (e i danni chiari a tutta la politica) di Sabino Cassese

Testi scritti in una meta-lingua incomprensibile erano una volta giustificati perché provenivano dal Parlamento, dove siedono quasi mille legislatori in erba. Ora, invece, provengono da un nucleo di agguerritissimi legislatori che siedono a Palazzo Chigi e nelle vicinanze. L’anno è terminato con un fuoco d’artificio finale: il decreto legge soprannominato Milleproroghe, del 23 dicembre, ha 111 commi; la legge di Bilancio, del 30 dicembre, ne ha 1.124; è stato calcolato che il sessantasettesimo governo della Repubblica abbia posto 35 volte la fiducia, una media superiore a tre al mese, per ottenere una più sollecita approvazione parlamentare dei propri disegni di legge o decreti legge. Peccato che la qualità delle norme non sia all’altezza della loro quantità. Un solo esempio: chi vada sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri potrà leggere che i provvedimenti, di diversa natura giuridica, attualmente vigenti, approvati dal governo in seguito all’emergenza sanitaria nazionale sono diligentemente elencati e ammontano a 37.

Nessuno ha pensato che lo Stato, per mostrare un volto amichevole ai propri cittadini, desiderosi di sapere come comportarsi, potesse metter insieme in un solo testo, coordinandole, tutte queste norme. In Francia fu un consigliere di Stato, Guy Braibant, che, nel 1989, propose l’introduzione della codificazione a diritto costante. Nel 2018 è stato calcolato che questa ha consentito di raccogliere in 73 codici il 64 per cento della massa legislativa. Poiché vi è una presunzione legale di conoscenza delle leggi (nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge), codificare vuol dire rendere conoscibile e democratizzare il diritto. Così, infatti, si fa chiarezza, si coordina, si semplifica, si dà coerenza, alla fine si rende la vita più facile ai cittadini, che non dovrebbero essere obbligati a ricorrere a tecnici o esperti per conoscere i loro diritti e i loro doveri.

Se, poi, si cerca di leggere qualche norma ci si imbatte a ogni articolo in disposizioni così concepite (l’esempio è tratto dal decreto legge 221 del 2021): «il consumo di cibi e bevande al banco, al chiuso, nei servizi di ristorazione, di cui all’articolo 4 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni dalla legge 17 giugno 2021, n.87, è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso delle certificazioni verdi Covid-19, di cui all’articolo 9, comma 2,lettere a), b) e c-bis) nonché ai soggetti di cui all’articolo 9-bis, comma 3, primo periodo, del decreto-legge n. 52 del 2021».

 Testi scritti in questa meta-lingua erano una volta giustificati perché provenivano dal Parlamento, dove siedono quasi mille legislatori in erba. Ora, invece, provengono da un nucleo di agguerritissimi legislatori che siedono a Palazzo Chigi e nelle vicinanze, di cui lo spostamento della funzione legislativa dal Parlamento al governo ha messo in luce tutte le debolezze. Eppure il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, popolarmente noto come Dagl, ha un capo e due vicecapi, tre uffici, a loro volta ripartiti in complessivi dieci servizi, più quattro altre strutture denominate «settori» e «nuclei» e un centinaio di dipendenti. Sono tutti collocati al centro del governo, che è a sua volta una delle strutture più dotate di personale di alto livello, distribuito in non meno di quindici sedi, a fronte della quale Downing Street, Number 10, e Palais Matignon, le sedi del governo britannico e di quello francese, impallidiscono.

C’è, allora, da chiedersi perché organismi tanto dotati abbiano «performance» così basse. Qui le spiegazioni sono molte. C’è chi dice che è il potere che si difende, così come una volta la Chiesa, quando usava il latino: un diritto incomprensibile, ma comunque vigente, mantiene nelle mani di chi lo produce il potere di interpretare le norme. C’è chi pensa che dietro ognuno di quei rinvii vi sia un «cookie», frammenti di dati che servono ai redattori ad alludere ad altri poteri. Chi più semplicemente attribuisce la causa ad ignavia (gli autori di quelle norme «mai non fur vivi», direbbe padre Dante, perché si sottraggono ai propri doveri verso la società). Chi l’attribuisce semplicemente ad una diversa percezione dei diritti e delle aspettative dei cittadini o a una forma di crudeltà, così frequente in chi detiene conoscenze esoteriche.

Io vorrei, invece, segnalare tre più generali aspetti. Il primo riguarda il danno che in questo modo si produce sulla stessa politica: anche decisioni rigorose e prudenti, come quelle prese in tempo di pandemia, confezionate nel modo che si è detto, danneggiano la classe politica.

Il secondo riguarda la democrazia: chiarezza nel governare, specialmente se si tratta di norme dirette a regolare la vita quotidiana di milioni di persone, consente ai cittadini di comprendere, giudicare, e poi di scegliere; quindi, serve a mantenere un buon rapporto tra Stato e società.

Il terzo riguarda i grandi corpi dello Stato, e in particolare, il Consiglio di Stato. Questo ha fornito fino a qualche anno fa il personale di vertice che ha supplito alle carenze endemiche degli uffici pubblici italiani. Ora plurimi indizi, nell’esercizio della giurisdizione (sempre più contraddittoria e corriva) e nello svolgimento delle funzioni di direzione degli uffici di gabinetto e degli uffici legislativi (debole, come mostrato nell’esempio da cui sono partito), fanno temere che il Consiglio di Stato stia seguendo la Corte dei Conti nel lungo viale del tramonto.

Si potrebbe chiedere, a questo punto, che fanno i governi e la classe politica. La risposta consueta è un bel nulla. Durano troppo poco per intraprendere azioni che richiedono tempo, come quella di dotare lo Stato di un nerbo di buoni funzionari. Se un governo lo facesse, finirebbe per pagare solo i costi delle proprie decisioni, facendone raccogliere i benefici ai propri successori (eventualmente i propri competitori).

Le vie di uscita sono solo due. Che i governi possano aver tempo per governare, invece di essere sempre sulla porta girevole. Oppure che vadano al governo ministri che agiscano lì con la stessa fermezza di chi possa restarci quindici anni.

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