
La scuola
Pubblica, privata, la scuola
sì assomigliava, luogo di
trasmissione di un sapere
immutabile, nel silenzio,
nell’ordine e nel rispetto
delle gerarchie, la
sottomissione assoluta:
indossare un grembiule,
mettersi in fila alla
campanella, alzarsi in
piedi se entrava in
classe la direttrice ma
restare seduti se entrava
una bidella, equipaggiarsi
di quaderni, penne e matite
regolamentari, non replicare
quando si era sbrigati, in
inverno non indossare
pantaloni senza metterci
sopra una gonna.
Soltanto gli insegnanti
avevano il diritto di
fare domande. Se non
si capiva una parola o
una spiegazione la
colpa era solo nostra.
Vivevamo quelle regole
rigide con la fierezza di
un privilegio. L’uniforme
imposta dagli istituti
privati era il segno
visibile della loro
perfezione.
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