a cura di Giuseppe Caruso
Secondo la scansione antica, il rito bizantino continua a festeggiare l’Ascensione 40 giorni dopo la Pasqua. Quest’anno tale celebrazione cade proprio in questo giovedì.
L’icona dell’Ascensione si compone intorno al racconto che ne fa S. Luca sia nel Vangelo che all’inizio degli Atti.
Il “prototipo” di questa icona è antichissimo. Lo ritroviamo già sulle ampolle di Monza del V e VI secolo e non è mai stato cambiato nei secoli. Esso vede nella parte superiore il Cristo contornato dalle Potenze Angeliche ed in quella inferiore gli Apostoli, la Vergine e gli Angeli. L’icona, pertanto, è divisa in due parti ben distinte: la prima, quella celeste, in cui campeggia la figura del Cristo glorioso; la seconda, quella terrestre, fittamente popolata. Il Signore sale benedicendo e l’icona fa di questo avvenimento l’asse della sua composizione. Questa benedizione è già l’inizio della Pentecoste, l’invio dello Spirito Santo. Si può dire che l’icona dell’Ascensione rappresenta l’epiclesi pentecostale, il momento in cui “io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre” (Gv. 14,16). Il Cristo appare come seduto su un trono di gloria e con vesti di porpora ed oro: i colori per eccellenza della sua regalità. Dalla sua persona, divina ed umana, si sprigiona e s’irradia la luce della divinità per tutta l’ampiezza dei cieli. Il gesto è quello del Pantocratore, cioè di “Colui che contiene in se tutte le cose”, un gesto solenne della destra che esprime la sua signoria sopra ogni cosa, mentre nella sinistra stringe un rotolo simbolo della Parola e del “chirografo”, il documento della nostra condanna che Gesù risorto ha definitivamente cancellato. Si capisce allora che da questa immagine di potenza scaturisce per noi la sorgente della misericordia. Non ci schianta, non ci annienta, ma ci salva.
Nella parte inferiore si trovano riuniti gli apostoli, Maria e gli angeli. Dal blocco roccioso si elevano quattro arboscelli verdi e rigogliosi che rappresentano i quattro angoli della terra “sterile”, asservita all’idolatria, che risponde all’annunzio della buona novella, idealmente simboleggiata dai quattro evangelisti. Dall’Ascensione in poi Gesù manda gli apostoli fino agli estremi confini della terra per annunciare la salvezza. I due angeli in bianche vesti sono gli angeli della risurrezione che, posti in mezzo agli apostoli, annunciano che il Cristo ascendente in cielo ritornerà nella sua gloria; è un’allusione alla Parola di S. Paolo: “Ogni questione si deciderà sulla dichiarazione di due testimoni” (2Cor 13,1,) e la loro testimonianza è certa.
Le loro braccia elevate ricordano l’invito “in alto i cuori” che il sacerdote rivolge all’assemblea all’inizio dell’anafora (preghiera eucaristica): inizia, infatti, la liturgia celeste a cui si unisce quella terrestre, il momento in cui il Figlio ci lascia in eredità il suo corpo, la sua anima, la sua divinità.
Anche se le fonti scritturistiche non parlano esplicitamente della presenza della Vergine al monte degli Ulivi nel giorno dell’Ascensione, la tradizione della Chiesa la raffigura al centro dell’icona con gli apostoli perché così viene presentata per l’ultima volta nel libro degli Atti: “Tutti erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e Maria, la madre di Gesù e i fratelli di lui” (At 1, 13 seg).
La Theotokos, dunque, posta al centro, è l’asse del gruppo situato in primo piano. Figura della Chiesa, la Vergine è sempre rappresentata al di sotto del Cristo. Il suo atteggiamento è duplice: “orante”, è colei che intercede presso Dio, e “purissima” è la santità della Chiesa di fronte al mondo.
Gli apostoli sono divisi in due gruppi di sei: in primo piano, a sinistra, sta Pietro, mentre a destra è raffigurato Paolo. I due sono chiamati, infatti, i coriferi, i principi degli apostoli.
Anche se Paolo non era ancora convertito al tempo dell’Ascensione storica di Gesù, l’icona si presenta come una elaborazione teologico-spirituale dell’evento. Paolo è allora raffigurato con gli altri apostoli e con Maria per indicare la Chiesa sposa in attesa del Cristo sposo.
Gli sguardi degli apostoli sono rivolti alcuni verso il Cristo glorioso, altri verso gli angeli. Quelli che guardano verso il Cristo sembrano gridare come il profeta Eliseo quando si vide “rapire” il suo maestro Elia su di un carro di fuoco: “Padre mio, padre mio, cocchio d’Israele e suo cocchiere” (2Re 2,12). Mentre quelli che guardano verso gli angeli ascoltano la promessa: “Tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1, 11).
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