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sabato 24 aprile 2010

Cosa c'entra la "pari dignità" con le celebrazioni bizantine ? Se padre Mario conosce gli inni bizantini non deve pretendere 'pari dignità', deve esigere di guidare le liturgie e le para-liturgie dei greci. Ma se non li conosce, stia zitto !! - La preghiera bizantina non è un dibattito parlamentare.

Sono reduce da una discussione fra amici. Nessuno di noi ha capito finora le ragioni di Padre Mario Bellanca, parroco nella Chiesa della Favara, che lo inducono con determinazione (senza se e senza ma) di sbarrare la strada di ingresso che conduce all'interno della SUA Chiesa ai cattolico-bizantini di Contessa Entellina in tre occasioni, ogni anno: Pasqua, prima quindicina di Agosto e (si suppone) 8 Settembre, festa della Natività di Maria.
Qualcuno azzarda che quelle visite, con lo sfarzo delle processioni costantinopolitane, contraggono, sminuiscono, l'autonomia di quella parrocchia. Insomma Padre Mario non risulta essere per l'intera durata delle visite il "dominus" di quella Chiesa. I greci, a sentire, l'amico 'latino' che tenta di spiegare le ragioni di Padre Mario, la fanno da padroni in quei giorni, mettono in un cantuccio Padre Mario (che, in pratica, non avrebbe voce in capitolo in quelle celebrazioni da greci).
Spunta, finalmente, ad opera dell'amico "latino" la parolina magica "pari dignità" che mancherebbe a Padre Mario. Quelle visite dei greci nella Chiesa dei latini metterebbero in ombra la "pari dignità".
Noi che abbiamo dimestichezza col linguaggio della politica non percepiamo cosa possa significare in termini ecclesiali la "pari dignità" nel pregare l'Eterno. Vogliamo tentare di svolgere, comunque, un nostro percorso logico, che non pretendiamo debba essere condiviso. Infatti è un nostro ragionamento.
Da 300 - 400 anni i 'greci' si recano nella Chiesa della Madonna della Favara per svolgere i servizi religiosi che abbiamo più sopra elencati (Pasqua, Paraclisis, Natività di Maria). Si tratta di belle e grandiose celebrazioni, oltre che sotto il profilo religioso e della fede, anche sotto il profilo culturale (gli inni vengono infatti dai primi secoli del Cristianesimo e alcuni -lo ha riferito Luttwack nel corso della 'Shega 2010- addirittura sono l'adattamento cristiano a precedenti inni ebraici del periodo di Gesù Cristo su questa terra). Partecipare a questi riti è, per chi è cristiano, come sentirsi plasmare balsami sulla coscienza.
 Chi non ricorda cosa riferirono gli ambasciatori del principe di Kiev al loro signore che li aveva mandato in giro per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo per riferirgli il modo di pregare dei vari popoli ?
Essi riferirono cosa avevano visto a Roma, presso i cattolico-romani, presso i mussulmani delle terre islamizzate e, infine, spiegarono cosa viddero presso i greco-bizantini di Costantinopoli: "La liturgia non è altro che l'incontro degli uomini e degli angeli che insieme, in forma non umana, innalzano lodi a Dio".
A Contessa Entellina, la Chiesa bizantina, conserva inni liturgici e para-liturgici che sono di altri tempi e di altri modi di sentire. Per chi si immerge nell'ascolto quella liturgia è ancora in condizione di far 'vedere' l'incontro fra il Cielo e la Terra.
Se a Contessa Entellina abbiamo questo privileggio, che la Chiesa di Roma nella persona dei vari Papi non cessa di apprezzare, mi chiedo: di quale 'pari dignità' si parla ?
La dignità è un elemento, personale, collettivo, che o si possiede o non si possiede. Non si può imporre al prossimo di riconoscerci dignità che non riesce a cogliere. Qui entriamo nel campo della psicologia. Non è comunque il nostro campo.
Se la Chiesa bizantina per 300-400 anni ha cantato queste lodi all'esterno delle sue Chiese, se ha portato questi tesori di altri tempi nella Chiesa di rito romano, cosa c'è di così drammatico, psicodrammatico, da indurre padre Mario Bellanca a chiudere -o semichiudere- i portoni della SUA Chiesa ? Che c'entra la "pari dignità" ? Tenti, pure lui, di immergersi, di capire, ci provi. Se non ci riesce, pazienza. Si tratta di riti che -tuttosommato- durano, ciascuno, meno di un ora, ad esclusione del pontificale della Natività di Maria che ha tempi di "greci".
Egli, in seminario, avrebbe dovuto coltivare la stima e il rispetto per il rito bizantino (in proposito abbiamo pubblicato qualche giorno fa su questo blog una lettera del Vaticano -del 1986- a tutti i rettori di seminario). Se poi, per ragioni personali, non riesce ad amare queste tradizioni contessiote, ebbene, faccia uno sforzo, si imponga di starsene contenuto, in riserbo, come l'abito che porta gli impone. Non canti, non partecipi a queste liturgie che vengono da lontano, ma eviti di chiudere le porte.
Possiamo accettare, anche se non condividere, l'avversione per la bellezza decandata dagli ambasciatori del principe di Kiev nei confronti delle lodi innalzate a Dio dai greci, ma non accettiamo, non accetteremo mai, che un prete che ha dei chiodi fissi nei confronti delle "cose" dei greci chiuda le porte. No, questa non è più "autonomia" della parrocchia, questa in Italiano si chiama INTOLLERANZA nei confronti di mezzo paese (i greci), si chiama INCIVILTA' nei confronti dell'intero paese (greci e latini messi assieme).
E padre Mario potrà invocare tutti i canoni del suo codice personale o di quello canonico, ma non troverà mai comprensione nello sbattere le porte contro chi appartiene ad altri riti. Mai.
Ci guadagnerebbe tantissimo se le sue ragioni, che non vanno ammantate di religiosità ma di 'piccoli poteri' umani di questo mondo, le facesse valere in termini, non dico evangelici (sempre difficili per noi uomini-peccatori) ma in termini di civiltà. Si, i termini di civiltà nel 2010 da Padre Mario li esige Contessa Entellina, tutta intera, da lui e da chiunque.

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