La storia dell'isola
La Specificità Siciliana nella Questione Meridionale
Le scelte della classe dirigente post-unitaria ebbero effetti pesanti per l'isola.
L'adozione di una politica rigidamente liberista significò, accanto all'espansione del settore manifatture agricolo (vini, derivati degli agrumi) e dell'industria estrattiva (zolfo), assistette alla crisi di tutti quei nuclei di manufatture varie che si erano consolidati nei centri cittadini dell'isola. Esposti alla forte concorrenza delle industrie straniere e del settentrione della penisola, essi non ressero e uscirono di scena nel giro di pochi anni.
I ceti sociali legati a queste manifatture vennero comunque duramente danneggiati dal liberismo.
Il peso più pesante al processo degenerativo della nascente manifattura isolana l'ebbe tuttavia l'estensione del fiscalismo piemontese su una popolazione abituata alle tenui imposizioni borboniche e i cui livelli di vita non migliorarono per nulla, a parte il lento processo di alfabetizzazione.
I maggiori redditi di quegli anni finirono infatti nelle mani degli imprenditori, dei proprietari terrieri (i già gattopardi) e attraverso il fisco e la vendita dei beni dell'asse ecclesiastico e del demanio, in quelle dello Stato.
I lavoratori della terra, contrattualmente indeboliti dal loro aumento di numero e dall'impossibilità di continuare a godere degli usi civici, non riuscivano ad assicurarsi che la minima parte della ricchezza (oggi diremmo del PIL).
Delusi, quindi, della mancata o fallita divisione della terra (che la normativa borbonica prevedeva come risarcimento dell'avvenuta privatizzazione degli usi civici), esasperati per il peggioramento delle loro condizioni di vita a fronte un un ulteriore arricchimento dei tradizionali ceti privilegiati, quando si videro sottoposti anche alla leva militare obbligatoria, reagirono con manifestazioni abbastanza estese di resistenza e di brigantaggio.
Nel 1866 il malumore e la delusione per essersi fatti ingannare dalle promesse garibaldine esplosero a Palermo, in aperta rivolta contro lo Stato italiano, contro la nuova borghesia terriera dei gattopardi, contro il disinteresse (sia pure paternalistico) per il dilagante sfruttamento dei poveri.
Tra le sommosse, ribellioni e repressioni, che radicarono nella popolazione la convinzione che l'Autorità dello Stato subentrasse alla prepotenza dei precedenti baroni solo negli aspetti più odiosi dello sfruttamento, la mafia si pose più che mai come organismo sostitutivo dell'autorità legale.
In questo contesto a Contessa procede come un fiume in piena l'emigrazione verso il nuovo continente.
Nessun commento:
Posta un commento