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giovedì 18 maggio 2023

Sfogliando i giornali

L'uomo, l'egoismo, l'imprevidenza, l'urbanizzazione cementificata


Andrea Agapito, biologo, responsabile del settore «Acque» del Wwf spiega che ciò che sta accadendo in Romagna è dovuto al fatto che lungo il corso del fiume Lamone sono progressivamente spariti i “boschi ripariali", quella vegetazione golenale che ha un decisivo “effetto spugna”: frena l’acqua straripata, l’assorbe e la restituisce in tempi di siccità. Se adesso queste difese naturali non ci sono più è perché stiamo sempre più irreggimentando i fiumi, gli alvei sono stati canalizzati, le aree di esondazione naturale sono state occupate da abitati e coltivazioni.

Poi c’è un’altra questione: quelli esondati — tipo l’Idice, 78 chilometri di lunghezza, o il Sillaro, 66 — sono tutti fiumiciattoli piccoli e «la loro modesta portata, in un suolo già saturo per l’alluvione di inizio maggio — spiega Mauro Rossi, geologo dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr — si è di colpo ingrossata per via delle precipitazioni intense delle ultime 48 ore.

 Difficile dire se una maggiore presenza di bacini di laminazione — i «parcheggi temporanei» delle acque che straripano — avrebbe risparmiato l’alluvione alla Romagna. Sono «difese che non si possono costruire da tutte le parti, perché stravolgerebbero la realtà di questi piccoli centri. Se da un lato possono essere la soluzione dei problemi, dall’altro ne creerebbero altri, dalla modifica del paesaggio a un problema di evaporazione che può danneggiare le coltivazioni in caso di siccità. Va detto anche che il territorio tra colline e pianura è costituito da materiale che accetta poca acqua e dunque il riassorbimento è minimo».

Tutto va inquadrato in uno scenario che vede «una frequenza sempre maggiore di eventi estremi — dice il presidente del Consiglio nazionale dei geologi Francesco Violo — che impatta in un territorio urbanizzato negli ultimi anni in maniera molto intensiva, con alte percentuali di consumo di suolo».

«Bombe d’acqua» e piogge prolungate «amplificano le difficoltà anche in questa parte dell’Italia dove la manutenzione si fa». Semmai «i parametri dei calcoli idraulici svolti nel passato per le opere di difesa non sono più idonei». 

La soluzione? «Aggiornare il modo di progettare, adattarsi alle condizioni nuove, con piani per interventi strutturali e con presidi territoriali in grado di monitorare il territorio intervenendo con tempestività».

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