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mercoledì 6 luglio 2022

Identità umane. Un libro di Giuseppina Li Cauli e Leda Melluso

   C'è in alcune librerie palermitane un libro, anzi un libretto di cento pagine, "Storie Albanesi di Sicilia"-Conversazione con un'arbëreshe. Prefazione di Rino Messina, magistrato a riposo.

  La narrazione procede fra una maestra -Leda Melluso- con una sua antica allieva di Piana degli Albanesi, -Giuseppina Li Cauli-. Il proposito è, fra le due interlocutrici, di far ri-emergere da domanda e risposta lungo le cento pagine del libro la vicenda storica di Piana degli Albanesi. 

 Per avere una idea dello spazio temporale della conversazione già sin dalla prefazione sappiamo che il confronto fra maestra ed ex allieva va da Skanderberg alla vicenda di Portella della Ginestra. E ovviamente su tutto aleggia l'amore e l'attaccamento alle proprie origini.

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Dal momento che a Contessa Entellina ci si sta dando da fare per sistemare -in un posto appropriato- un lavoro artistico dedicato a Skanderbergh, opera di Vincenzo Muratore, ci piace estrapolare dal libretto di Melluso e Li Cauli (edito dall'Istituto Poligrafico Europeo nel 2015) i tratti semplici ma definiti su cosa significhi Skanderbergh per gli arbëreshe di Sicilia e non solo per loro.

Scommetto che hai una voglia matta di raccontarmi quello che hai scoperto. Sono pronta ad ascoltarti, a fare questa bella chiacchierata, a sodisfare le mie curiosità perché, a questo punto, anche io desidero sapere qualcosa di più di voi arbëreshë. La prima domanda che ti rivolgo è questa: perché Skanderberg è l'eroe nazionale degli albanesi?

Per spiegartelo devo raccontare la sua storia, fin da quando era ragazzo. Il suo vero nome era  Giorgio, figlio di Giovanni Castriota, signore della città di Croja, che per anni contrastò l'avanzata dei turchi, nei suoi territori. Per l'impero ottomano l'Albania era strategicamente importante, il ponte per accedere al  Mediterraneo e conquistare il mondo cristiano. Per questo lo scontro fu tanto violento e terminò con la conquista di tutta la regione. Nel 1423 Giovanni Castriota, sconfitto dai turchi, per avere salva la vita fu costretto a dare  in ostaggio i suoi quattro figli. Non voglio neppure immaginare lo stato d'animo della madre nel vedersi strappare i suoi bambini. Di questo non si fa alcun cenno nelle cronache ma si sa che il dolore delle donne non fa storia. Stanislao e Reposio furono avvelenati, Costantino divenne monaco ma, più tardi, gli fu riservata la stessa sorte dei fratelli. Giorgio divenne il pupillo del sultano Amurat che lo volle con sé nella corte di Adrianopoli. Quel bambino di soli nove anni, infatti, era intelligente, amante delle armi, bello e di una fierezza leonina. Come non amarlo? Amurat non si era sbagliato sull'indole del piccolo albanese: Giorgio divenne un uomo molto colto, parlava la lingua albanese, turca, greca, italiana, bulgara, serba, croata ed era tanto abile nelle armi che riuscì a diventare generale dei Giannizzeri, i feroci combattenti turchi. Ma era sempre un albanese e questo Amurat non lo dimenticava mai.

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Noi ci fermiamo qui, ma chi è interessato a saperne di più compri il libro che ha un prezzo molto accessibile per chiunque.

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