Ad Avellino è proclamata la Costituzione di Spagna del 1812. Il moto insurrezionale si estende alla Calabria e alla Basilicata. Il generale murattiano Guglielmo Pepe si mette alla testa di tutte le forze costituzionali.
Ferdinando I, esitante cede la guida del regno al figlio Francesco, che nella veste di vicario promette di promulgare la Costituzione spagnola.
Dopo che Guglielmo Pepe entra trionfalmente a Napoli, il giorno 13 luglio Ferdinando I nel corso di una cerimonia solenne giura di rispettare la Costituzione.
Già in agosto vengono convocate le Giunte parrocchiali per l'elezione del nuovo Parlamento.
I nobili siciliani a Napoli rifiutano di far parte della giunta provvisoria, chiedono per l'isola la Costituzione siciliana del 1812, ossia l'indipendenza, e si dispongono a partire per la Sicilia.
Il tre agosto i rappresentanti della giunta di governo di Palermo addebitano tutti i mali dell'isola al governo di Napoli e dichiarano di voler combattere per l'indipendenza e la libertà.
-nobiltà
-ceto civile
-borghesia impiegatizia
-masse artigiane
-operai organizzate nelle 72 “maestranze”.
La rivolta scoppiata a Palermo il 15 luglio 1820 fu una grande sollevazione popolare spontanea, promossa e diretta dalle corporazioni operaie e solo in un secondo tempo appoggiata dalla nobiltà “separatista”. Nobiltà e borghesia dovettero piegarsi alla pressione popolare per evitare che la rivolta prendesse una piega anche ai loro danni.
La giunta provvisoria di Palermo, composta da nove esponenti della nobiltà e nove della borghesia fece proprie le richieste delle corporazioni:
-indipendenza della Sicilia,
-Costituzione sul modello spagnolo,
-abolizione del servizio militare obbligatorio,
-potere di veto da parte delle “corporazioni” su tutti gli atti della giunta.
-riduzione delle tasse,
-difesa dei privilegi corporativi delle maestranze.
Solo Agrigento, fra le città siciliane, si unì alle rivendicazioni palermitane e una vera guerra civile si scatenò nell’isola quando bande armate arrivate da Palermo attaccarono e saccheggiarono Caltanissetta, rimasta fedele al governo progressista-liberale di Napoli. Vennero massacrati oltre 300 cittadini. L'isola diventa campo di battaglia fra città sostenitrici dell'indipendenza e quelle fedeli all'unità dello stato con Napoli.
Il tre agosto i rappresentanti della giunta di governo di Palermo addebitano tutti i mali dell'isola al governo di Napoli e dichiarano di voler combattere per l'indipendenza e la libertà.
SPUNTA IL SEPARATISMO:
i siciliani hanno sempre resistito contro il progresso
La fine dell’autonomia, che somigliava ad indipendenza, del
Regno di Sicilia nel 1816 e le riforme progressiste del ministero di Luigi De
Medici avevano suscitato un fortissimo malcontento in molti ambienti siciliani.
Soprattutto a Palermo, città privata della funzione di capitale, una crescente
ostilità nei confronti del governo di Napoli accomunava ( stranamente diremmo
oggi):-nobiltà
-ceto civile
-borghesia impiegatizia
-masse artigiane
-operai organizzate nelle 72 “maestranze”.
La rivolta scoppiata a Palermo il 15 luglio 1820 fu una grande sollevazione popolare spontanea, promossa e diretta dalle corporazioni operaie e solo in un secondo tempo appoggiata dalla nobiltà “separatista”. Nobiltà e borghesia dovettero piegarsi alla pressione popolare per evitare che la rivolta prendesse una piega anche ai loro danni.
La giunta provvisoria di Palermo, composta da nove esponenti della nobiltà e nove della borghesia fece proprie le richieste delle corporazioni:
-indipendenza della Sicilia,
-Costituzione sul modello spagnolo,
-abolizione del servizio militare obbligatorio,
-potere di veto da parte delle “corporazioni” su tutti gli atti della giunta.
-riduzione delle tasse,
-difesa dei privilegi corporativi delle maestranze.
Solo Agrigento, fra le città siciliane, si unì alle rivendicazioni palermitane e una vera guerra civile si scatenò nell’isola quando bande armate arrivate da Palermo attaccarono e saccheggiarono Caltanissetta, rimasta fedele al governo progressista-liberale di Napoli. Vennero massacrati oltre 300 cittadini. L'isola diventa campo di battaglia fra città sostenitrici dell'indipendenza e quelle fedeli all'unità dello stato con Napoli.
I democratici napoletani pensarono che quanto accadeva in
Sicilia nascesse da un complotto dei baroni e convennero nella necessità di
reprimere la sommossa siciliana. La dura repressione fu condotta dal generale
Florestano Pepe sbarcato a Messina il 3 settembre e segnò il profondo indebolimento della rivoluzione
costituzionalista e nel contempo
contribuì non poco al rafforzamento dello spirito separatista in tutta la
Sicilia Occidentale.
Il 22 settembre la nobiltà palermitana si schiera dalla parte del generale Florestano Pepe ed il principe di Villafranca sottoscrive il documento di capitolazione. Il popolo si ribella per il voltafaccia della nobiltà ed attacca le guardie di pubblica sicurezza.
Fra il 26-30 settembre le truppe napoletane si scontrano con le plebi palermitane con complessivamente 5.000 morti ed il palazzo del principe di Villafranca viene saccheggiato.
Il 5 ottobre le forze rivoluzionarie siciliane capitolano ed il 15 dello stesso mese il Parlamento respinge ogni richiesta presentata dai resistenti.
il 29 Dicembre il Parlamento di Napoli abolisce i residui di "feudalità" che ancora permangono in Sicilia.
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