“Tutti” possono manifestare liberamente le proprie idee con qualsiasi mezzo, ma pochi dispongono di un “mezzo” diverso dalla parola. E’ dunque essenziale che la proprietà dei media non si concentri.
L’art. 21 della Costituzione inizia con questa solenne proclamazione “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero,con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”. La libertà di manifestazione del pensiero, definita dalla Corte Costituzionale “pietra angolare” del sistema democratico, è garantita: a) come diritto di esprimersi liberamente; b) di utilizzare ogni mezzo per diffondere il pensiero e tentare di convincere gli altri. La libertà dello spirito umano, che spazia in ogni campo, storicamente rivendicata come libertà religiosa, è tutelata dall’art. 19 “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in forma individuale o associata, di farne propaganda, di esercitarne in privato o in pubblico il culto”. Spazzati via limiti, censure, interventi preventivi imposti dal fascismo, l’unico limite menzionato in entrambi gli articoli è il buon costume. Limiti impliciti possono giustificarsi unicamente con la tutela di diritti e beni costituzionalmente protetti: regolare funzionamento della giustizia, sicurezza dello Stato, dignità e onore (legittimi i reati di ingiuria e diffamazione), “riservatezza” (meno tutelate le persone note o che esercitano funzioni pubbliche). Non più ammissibili i “reati d’opinione”.
La Costituzione si occupa in primo luogo della stampa che “non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Eliminato ogni intervento preventivo, consentito è soltanto il sequestro “per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi”. Le forme di garanzia sono sempre le stesse di tutti i diritti, a partire dalla libertà personale (art. 13): solo la “legge” del Parlamento e l’atto motivato di un “magistrato” sono consentiti. E’ lontano il tempo in cui il governo, mediante i prefetti, interveniva sulla stampa, la controllava, ne eliminava i direttori, sopprimeva i giornali contrari all’ordine nazionale (cioè al regime). Una volta tramontati i metodi del fascismo, restano però altri modi di interferire; sul piano economico in primo luogo: grave è parso l’invito rivolto dal presidente Berluscono agli industriali di sottrarre la pubblicità a quotidiani e periodici che lo avversano.
Diritto “individuale”, la libertà di pensiero è anche “condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale”, afferma la Corte costituzionale (sent. 9/1965) sottolineandone la rilevanza per l’attuazione del principio democratico (sent. N. 156 del 1985). La democrazia richiede una partecipazione cosciente dei cittadini; presupposto essenziale è dunque l’informazione, la conoscenza dei fatti e delle situazioni politiche, la libera circolazione delle idee.
I cittadini debbono poter esprimere liberamente il proprio pensiero, formulare critiche a chi governa stimolando il dibattito e concorrendo a formare, orientare, modificare l’indirizzo politico. Se “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1) e l’apparato statale è lo strumento attraverso il quale il popolo la esercita, è necessario che l’indirizzo politico venga dal basso e, attraverso i rappresentanti eletti, arrivi alle istituzioni affinchè si muovano in conformità alle indicazioni del corpo sociale.
Essenziale non è soltanto il diritto di esprimersi e di informare, ma il diritto di essere informati. Qui entra in gioco il problema di fondo: “Tutti” possono manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo, ma pochi dispongono di un “mezzo” diverso dalla parola. E’ dunque essenziale che la proprietà dei media non si concentri. Un elevato numero di giornali non serve se tutti parlano con la medesima voce. Il diritto d’informare non sarebbe soddisfatto e tanto meno il diritto dei cittadini di essere informati. Fondamentale è il “pluralismo” dell’informazione. Soltanto l’insieme di più voci libere può fornire un’informazione (abbastanza) completa. Altrimenti si hanno rappresentazioni distorte che inquinano la democrazia. Per la televisione sarebbe indispensabile la presenza di più emittenti private differenziate fra loro, accanto a una televisione pubblica pluralista al suo interno, sottratta alle influenze politiche, in particolare della maggioranza. La Corte costituzionale ha più volte sottolineato che l’attività televisiva “ben al di là della sua rilevanza economica” tocca “fondamentali aspetti della vita democratica” e incide sulla pubblica opinione, “perciò è necessario che non divenga strumento di parte” (sent. 225/1974). A realizzare il pluralismo non servono un polo pubblico e un polo privato rappresentato “da un soggetto unico” o in “posizione dominante”, che potrebbe esercitare un’influenza “incompatibile con le regole del sistema democratico”. Il “diritto all’informazione” garantito dall’art. 21 esige il pluralismo delle fonti e impone al legislatore “di impedire la formazione di posizioni dominanti” mediante una adeguata disciplina antitrust (sent. 420/1994) e di favorire l’accesso del massimo numero di voci “diverse”, cosicchè il cittadino compia le sue valutazioni “avendo presenti punti di vista differenti” (sent. 112 del 1993). Non sempre le sentenze hanno avuto il seguito dovuto; già nel 1988 (sent. 826) la Corte constatava che il rischio di oligopolio, da essa paventato “si è trasformato in realtà”; la situazione di fatto non garantisce il pluralismo informativo esterno, uno degli “impegni ineludibili” (sent. 466/2002) emergenti dalla giurisprudenza costituzionale. Ma, ormai, sempre meno garantisce il pluralismo “interno” al servizio pubblico: l’esclusione della sinistra dalle prossime tribune politiche ne è la riprova.
Il pluralismo di cui parla la Corte non si valuta soltanto in “numeri”: tante voci possono dar vita ad un coro omogeneo.
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