StatCounter

venerdì 12 febbraio 2021

Contessa Entellina. Quella domenica di cinquantatre anni fa (9)

  Estratti dalla

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE 

D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE 

E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE 

COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968 

(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)  

continua da:

Prima parte pubblicata Pigiare qui)

Seconda parte pubblicata (Pigiare qui)

Terza parte pubblicata (Pigiare qui)

Quarta parte pubblicata (Pigiare qui)

Quinta parte pubblicata (Pigiare qui)

Sesta parte  pubblicata (Pigiare qui)

Settima parte pubblicata (Pigiare qui)

CAPITOLO IV 

LA PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE URBANISTICA 

AI VARI LIVELLI  — I TRASFERIMENTI DEGLI ABITATI 

La definizione dell'ambito territoriale. 

Il primo provvedimento legislativo statale predisposto dopo il sisma del Belice e stato il decreto-legge 22 gennaio 1968, n. 12, convertito nella legge 18 marzo 1968, n, 182, nel cui articolo 1 erano indicati i seguenti comuni, che avrebbero beneficiato delle provvidenze previste: 

Menfi, Montevago, Santa Margherita Belice, Gibellina, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, S. Ninfa, Camporeale, Contessa Entellina, Corleone, Roecamena, Sambuca di Sicilia, Alcamo, Calatafimi, Castelvetrano, Vita e Campofiorito. (Diciannove comuni in tutto). 

Successivamente con decretoJegge 15 febbraio 1968, n. 45, convertito^ nella legge 18 marzo 1968, n. 240, furono aggiunti altri 33 comuni (rispettivamente 8 per la provincia di Agrigento, 20 per quella di Palermo e 5 per quella di Trapani) e cioè: 

Agrigento, Burgio, Calamonaci, Caltabellotta, Lucca Sicula, Ribera, Sciacca, Villafranca Sicula; Balestrate, Bisacquino, Borghetto, Caltavuturo, Chiusa Sclafani, Ciminna, Giuliana, Godrano, Lercara Friddi, Marineo, Monreale, Palazzo Adriano, Palermo, Partinico, Roccapalumbo, San Cipirello, S. Giuseppe Iato, Sciallato, Torretta, Ventimigiia di Sicilia; Campobello di Mazara, Castellammare del Golfo, Marsala, Mazara del Vallo, Trapani. 

Il decreto ministeriale del 10 maggio 1968, per effetto dell'articolo 1 del decreto-legge 27 febbraio 1968, n. 79, convertito in legge il 18 marzo 1968, n. 241, estese l'area dei comuni che avrebbero beneficiato delle provvidenze previste per legge, ad altri 78 comuni della Sicilia occidentale: 16 in provincia di Agrigento, 56 e 6 rispettivamente in quelle di Palermo e di Trapani. 

Si tratta di: 

Alessandria della Rocca, Aragona, Bivona, Cammarata, Casteltermini, Cattolica Eraclea, Cianciana, loppolo Giancaxio, Montallegro, Porto Empedocle, Raffadali, Realmonte, S. Biagio Platani, S. Giovanni Gemini, S. Stefano Quisquilia, Siculiana (provincia di Agrigento); 

Alia, Alimena, Alimenusa, Altavilla Milicia, Altofonte, Bagheria, Baucina, Belmonte Mezzagno, Bolognetta, Bompietro, Caccamo, Campofelice di Fitalia, Campofelice di Roccella, Capaci, Carini, Castelbuono, Castellana, Casteldaccia, Castronovo di Sicilia, Cefalù, Cerda, Cinisi, Collesano, Ficarazzi, Ganci, Geraci Siculo, Giardinello, Gratteri, Isnello, Isola delle Femmine, Lascari, Mezzojuso, Misilmeri, Montelepre, Montemaggiore Belsito, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Piana degli Albanesi, Polizzi Generosa, Pollina, Prizzi, S. Mauro Castelverde, S. Cristina Gela, S. Flavia, Sciara, Sclafani Bagni, Termini Imerese, Terrasini, Trabia, Trappeto, Ustica, Valledolmo, Vicari, Villabate, Villafrati (provincia di Palermo); 

Buseto Palizzolo, Custonaci, Favignana, Paco, S. Vito lo Capo, Valderice (provincia di Trapani). 

Il decreto ministeriale del 20 maggio 1968 (con riferimento all'articolo 36-bis legge 241 del 18 marzo 1968, di conversione del decreto-legge n. 79 del 7 febbraio 1968 che stabilisce l'applicabilità delle provvidenze di cui agli articoli 1 e 3 del decreto-legge n. 79, del 1968, ai comuni che saranno indicati con decreto ministeriale), aggiunge altri due centri della provincia di Enna, e cioè Enna e Calascibetta.

 Nell'ambito dell'area soggetta a provvidenze per la ricostruzione sono stati inoltre indicati, per effetto dell'articolo 11 del decreto-legge 27 febbraio 1968, n. 79, i comuni da trasferire totalmente e quelli a trasferimento parziale. 

Al primo gruppo appartengono (v. decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1968) i comuni di: Montevago, Gibellina, Poggioreale, Salaparuta. 

Al secondo, sempre per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1968, i comuni di S. Margherita Belice, S. Ninfa, Salemi, Partanna, Vita. 

Con decreti del Presidente della Repubblica, successivi degli anni 1968-1969, vengono indicati altri cinque comuni da trasferire parzialmente: Menfi, Calatafimi, Camporeale, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia. 

In tal modo i comuni da trasferire sono complessivamente 14; di cui a totale trasferimento: Montevago, Gibellina, Poggioreale, Salaparuta; ed a parziale trasferimento: Santa Margherita Belice, Santa Ninfa, Salemi, Partanna, Vita, Menfi, Camporeale, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia, Calatafimi.

 Globalmente il numero dei comuni comunque interessati alla ricostruzione risulta di 132. La normativa statale e regionale. Tanto il legislatore statale che quello regionale avvertirono, all'indomani del movimento tellurico, la esigenza che la ricostruzione nei comuni, soggetti o meno a trasferimento, potesse e dovesse avvenire nel rispetto delle linee di una pianificazione territoriale. Per quanto attiene alla Regione Siciliana va ricordato che quest'ultima — nel rispetto delle disposizioni statutarie che le conferiscono competenza esclusiva (art. 14 Statuto Siciliano) in materia urbanistica — stabilì con la legge regionale n. 1 del 3 febbraio 1968 che la ricostruzione avrebbe dovuto essere compiuta nel quadro di un assetto pluricomunale, demandato ad appositi strumenti di pianificazione denominati « piani comprensoriali ». 

Si affidava, infatti, dal citato testo normativo ad un nuovo congegno (nei contenuti e negli effetti assimilabile al piano regolatore generale pur se di più ampia estensione territoriale) il compito di stabilire:

 a) «.. . le previsioni per l'impianto, lo sviluppo e la trasformazione degli insediamenti abitativi e produttivi fissando le destinazioni d'uso e le relative norme »; 

 b) « .. .il sistema delle infrastrutture, gli impianti e le attrezzature di uso pubblico »; 

 c) « .. . i perimetri delle zone di interesse paesistico e storico-artistico e le relative modalità di utilizzazione e le eventuali prescrizioni speciali di uso »; 

 d) « .. . i programmi e le fasi di attuazione ». 

 Mentre la determinazione dell'area comprensoriale veniva riservata all'autorità regionale, la definizione dell'assetto urbanistico all'interno di essa veniva demandata, invece, non più, in via esclusiva, alla Regione ma a quest'ultima « d'intesa » con i Comuni facenti parte del comprensorio (consentendosi, così, a questi ultimi di influire incisivamente sul nuovo assetto). 

 In coerenza con il carattere necessariamente solo generale e sommario delle previsioni del piano comprensoriale assimilabile, come si è detto al piano regolatore generale, a parte la diversa estensione, si prevedeva poi, dalla stessa legge regionale n. 1 del 1968, che la disciplina avrebbe dovuto ottenere ulteriore sviluppo ed integrazione ad opera di successive disposizioni di attuazione urbanistica, di prevalente paternità comunale (strumenti che la legge regionale citata denominava piani particolareggiati pur se diversi, tuttavia dalla tradizionale di questi ultimi essendo raccordati non già ad un piano regolatore generale comunale ma allo strumento comprensoriale pluricomunale). 

 Il legislatore statale, per parte sua, con la legge 241 del 1968 pur non menzionando esplicitamente la legge regionale non rinnegava la logica alla quale quest'ultima si era ispirata; la esigenza, cioè, di assicurare la previa pianificazione delle zone di cui dopo il sisma si imponeva la ricostruzione. Il citato testo legislativo (art. 11) demandava al Capo dello Stato (su proposta del Ministro dei Lavori Pubblici, di concerto con i Ministri dell'Interno e del Tesoro, d'intesa con il Presidente della Regione Siciliana, sentito il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici) la individuazione degli abitati che avrebbero dovuto essere trasferiti in tutto o in parte. Tale intervento si esauriva, peraltro, nella sola individuazione degli abitati in questione senza in alcun modo precludere alla pianificazione comprensoriale la identificazione della località in cui il comune da trasferire avrebbe dovuto essere ricostruito e l'assetto interno da riservare, nella località prescelta, al nuovo insediamento. Né la pianificazione comprensoriale di cui alla citata legge regionale risultava contrastata da quelle altre proposizioni del decreto-legge con le quali si demandava ad una apposita commissione 

— dopo la individuazione, con decreto del Capo dello Stato, degli abitati da trasferire 

— di predisporre « il programma delle opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici da costruirsi nelle località nelle quali dovranno sorgere i nuovi centri abitati » (programmi da approvarsi successivamente dal Ministero dei Lavori Pubblici di concerto con quelli dell'Interno e del Tesoro, d'intesa con il Presidente della Regione Siciliana sentito il Consigloi Superiore dei Lavori Pubblici). Sembra, invero, che tale disposizione non mirasse ad assegnare un ruolo di pianificazione a questo « programma delle opere », ma solo a specificare quali interventi, ed in quali tempi, l'Amministrazione statale si proponeva di realizzare. Restano naturalmente ombre non facili da dissipare per stabilire come avrebbe dovuto essere realizzato un preciso raccordo tra i programmi previsti dalla normativa statale, ora ricordati, e la pianificazione urbanistica: le due iniziative risultavano, infatti, destinate inevitabilmente, ad influenzarsi a vicenda. Da un lato la pianificazione territoriale (comprensoriale e di ulteriore attuazione) non risultava, infatti, suscettibile di venire adottata senza la conoscenza delle opere che lo Stato era disposto ad eseguire; la determinazione statale relativa alle opere da costruire (il cosiddetto programma del citato art. 11) postulava, dall'altra parte, una qualche consapevolezza dei disegni urbanistici della Regione, quanto meno a livello comprensoriale. 

Interessa tuttavia limitatamente, oggi, ricercare attraverso quali vie si sarebbe dovuto conseguire quel coordinamento di cui sopra si è detto tra la cosiddetta programmazione statale e la pianificazione urbanistica, in quanto la disciplina dettata dalle due leggi citate (la legge regionale n. 1 del 1968 e la legge n. 241 dello stesso anno) fu, a distanza di qualche mese — prima ancora che ottenesse qualunque concreta attuazione — modificata da successivi interventi legislativi, 

Infatti la legge regionale 18 luglio 1968, n. 20, preoccupata probabilmente di scongiurare ritardi nell'attività di ricostruzione, abbandonava quanto previsto dalla precedente legge regionale che aveva condizionata la ricostruzione alla preventiva operatività del piano comprensoriale e degli strumenti di attuazione di quest'ultimo. Si stabiliva così — ripiegando sulla più modesta soluzione di una pianificazione comunale — che, nei comuni non soggetti a trasferimento totale, la ricostruzione avrebbe avuto luogo, nell'assenza di piani comprensoriali e dei relativi strumenti di attuazione, in conformità delle disposizioni urbanistiche esistenti. Nei caso, poi, che i comuni predetti risultassero sprovvisti di strumenti urbanistici, si disponeva che i medesimi avrebbero dovuto — in tempi brevissimi — procedere all'adozione di apposito regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione, con conseguente affidamento della ricostruzione, appunto, a quest'ultimo (art. 4). 

Per quanto attiene ai comuni da trasferire totalmente, la legge regionale n. 20 del 1968, muovendo dal presupposto che i programmi statali non racchiudessero solo l'elencazione delle opere che lo Stato si proponeva di ricostruire (e dei tempi della relativa realizzazione) ma anche la localizzazione dei nuovi insediamenti e dell'assetto che, allo interno di essi, avrebbe dovuto essere realizzato, stabiliva che l'attività di ricostruzione si sarebbe sviluppata nei luoghi e secondo le linee dettate dalla disciplina di cui al programma predetto, da attuare senza più attendere i piani comprensoriali. In vista, peraltro, di assicurare, in questo secondo caso, un qualche spazio agli organi locali (e la stessa futura adozione di piani comprensoriali compatibili con le realizzazioni nel frattempo eseguite) si stabiliva che il presidente del consorzio dei comuni inseriti nel comprensorio nonché i progettisti del piano comprensoriale avrebbero potuto avanzare proposte in relazione alle « prescrizioni urbanistiche che il programma statale concernente il nuovo nucleo (art. 3) avrebbe poi adottato ». 

La nuova legge regionale n. 20 del 1968 non rinunciava, dunque, in via definitiva alla idea del piano comprensoriale, piano destinato però ad essere operante quando la ricostruzione sarebbe stata ormai avviata. Con la detta legge e con altra successiva (legge regionale n. 28 del 1969) si dettavano infatti, disposizioni rivolte ad accelerare e a « rilanciare » lo strumento comprensoriale prevedendosi, tra l'altro, una più diretta partecipazione al procedimento delle popolazioni interessate. 

Nella idea che una ricostruzione svincolata dal piano comprensoriale costituiva un fatto anomalo imposto dalla sola necessità di non « bloccare » la ricostruzione, si stabiliva (legge n. 20 del 1968) che i congegni sostituitivi del piano comprensoriale avrebbero operato solo provvisoriamente fino a quando il piano comprensoriale non fosse sopraggiunto. Nei comuni soggetti a trasferimento totale o parziale sia la localizzazione dei nuovi insediamenti sia l'intero assetto dei nuovi nuclei finiva, intanto con il dipendere — nell'assenza dei piani comprensoriali — da quel programma di opere statali al quale la legge regionale n. 20 del 1968 aveva assegnata la natura di strumento di pianificazione (1). 

(1) La trasformazione dei programmi di opere statali da mero elenco di lavori a struménto pianificatorio è il dato che occorre tenere presente più di ogni altro ai fini di una valutazione della vicenda del Belice, quanto meno in relazione ai Comuni trasferiti, sotto il riflesso della pianificazione urbanistica. La ricostruzione ha trovato luogo infatti, dopo le descritte modifiche legislative, sulla base di impropri congegni, in organi istituiti in vista del perseguimento di tutt'altri obiettivi, restando inutilizzati meccanismi che avrebbero consentito una organica pianificazione pluricomunale.

Né si determinarono fratture, a questo proposito, tra ordinamento statale e regionale. Il legislatore statale non mancò, infatti, di prendere atto da un lato delle nuove proposizioni regionali che svincolavano la ricostruzione dalla pianificazione comprensoriale, e « convalidò », dall'altro, la interpretazione regionale con la quale — come si è ricordato — si assegnava (legge regionale n. 20 del 1968) al programma statale il nuovo compito di identificare le aree di localizzazione dei nuovi insediamenti e di procedere alla pianificazione dei medesimi.  Si stabiliva, così, con l'articolo 4 della legge statale 29 luglio 1968, n. 358 (poi modificata ed integrata dall'articolo 21 della legge 3 febbraio 1970, n. 21) che la Commissione tecnica di cui all'articolo 12 della legge n. 241 del 1968 avrebbe compilato, sentite le Amministrazioni comunali, programmi di trasferimento da sottoporre ad approvazione dell'Ispettorato generale, destinati ad ottenere più precise puntualizzazioni e sviluppi ad opera dell'Ispettorato medesimo al quale si riservava la redazione del « progetto esecutivo ». 

Con manifesto accostamento di quest'ultimo atto agli strumenti urbanistici di attuazione, si attribuiva poi valore di pubblica utilità e indifferibilità ed urgenza alle opere da esse contemplate. Nell'intento, infine, di ovviare a possibili ritardi dei comuni nella espressione del parere si stabiliva che se il comune non si fosse pronunciato nei 20 giorni, il procedimento avrebbe ottenuto ugualmente il suo svolgimento senza il parere comunale.

(Segue)

Nessun commento:

Posta un commento