Archivio storico: obbligo degli Enti Pubblici
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Sappiamo delle tracce di presenza e vitalità umana nell'area del Belice grazie a chi nel Medio Evo ha saputo trasmettere ai posteri segni e carte del tempo.
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L'immagine raffigura "L'Ubriachezza".
La miniatura medievale è conservata
presso la Biblioteca Nazionale di
Vienna |
Quando nelle Pubbliche Amministrazione alcuni documenti hanno esaurito la propria funzione, vengono conservati nell’archivio storico per finalità
-di studio,
-per necessità di privati,
per necessità amministrative o legali.
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Grazie ad alcune
carte del periodo normanno conservate in più archivi ben curati dell'Isola -e al contrario di quanto registriamo in taluni comuni del corleonese- si può ricostruire ancora ai nostri giorni la conformazione viaria esistente in Sicilia sin dagli anni del primo millennio e soprattutto durante
la presenza araba, e poi via via si può ancora leggere pure l'assetto dei vari territori, dove sorgevano i casali mussulmani, dove le taverne adiacenti ai percorsi viari (le trazzere), dove i mulini e persino dove insistevano -in quel Medioevo religioso- le cappelle.
Scoprire cosa ci fosse nell'attuale territorio di Contessa Entellina (e più ampiamente nel bacino del Belice) prima dell'arrivo degli arbëreshe e dopo il crollo definitivo di Entella, è stata e lo è ancora oggi oggetto di serie ricerche storico-scientifiche da parte di singoli studiosi e soprattutto di più Università.
Da decine di saggi a supporto curati da bravi studiosi possiamo ai nostri giorni dire che ormai quasi chiarezza è stata fatta, nelle grandi linee. Alla chiarezza si è arrivati grazie alle ricerche archivistiche e agli studi sul terreno e sui reperti.
Serve anche e sopratutto per le finalità di conoscenza a posteriore, quella da trasmettere alle generazioni future, quell'obbligo, quella sensibilità di dover mantenere la buona conservazione degli archivi pubblici. Non farlo -negli enti- costituisce oltre che mancanza di sensibilità pure violazione di legge.
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