Alla fine della Prima Guerra mondiale, nel clima della distensione carica comunque di angoscia per la tragedia appena conclusa, un nuovo flagello si affacciò sulla scena europea e mondiale, promettendo di fare più vittime della guerra stessa.
Il virus toccò quasi tutte le nazioni del mondo e alla fine del 1919, quando l'epidemia cessò, si calcola fossero morte più di 20 milioni di persone, 370mila nella sola Italia.
Medici e scienziati sperimentarono a lungo senza riuscire a trovare un vaccino efficace per questa malattia i cui sintomi erano abbastanza diagnosticabili e prevedibili per tempo: febbre alta, cefalee dolorose, brividi in tutto il corpo, senso di vertigine. La febbre si manteneva costante per quattro o cinque giorni dopo di che potevano insorgere delle complicazioni letali, come polmoniti, broncopolmoniti, pleuriti, etc.
In mancanza di cure idonee, le autorità sanitarie ordinavano la quarantena immediata.
L'unica misura preventiva che gli esperti consigliavano era la maschera, della cui efficacia, del resto, molti dubitavano. In effetti, alcuni scienziati sostenevano che il virus potesse trasmettersi anche con lo scambio di oggetti o con semplici strette di mano.
Alla fine del 1918 sembrava che l'epidemia stesse diminuendo, ma nel 1919 si ebbe una riacutizzazione in tutta Europa.
Nella primavera di quell'anno toccò il culmine a Londra e in altre grandi città, soprattutto della Germania, già colpite dalla scarsezza di viveri e di medicinali dovuta alla guerra.
Raggiunto il picco, l'epidemia scomparve lentamente, senza che fosse stata formulata nessuna spiegazione scientifica.
(estrapolato da LA GRANDE STORIA DEL NOVECENTO -L'Immagine di un secolo- Chief Editor)
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