Una indagine condotta in
questi giorni asserisce che 788.000 famiglie siciliane hanno visto calare
il proprio reddito a causa del Covid-19. La fotografia dà la
sensazione che uno tsunami si è abbattuto sulla nostra Isola.
Oltre il 15%
dei riferimenti presi in esame, pari a 218.000 nuclei familiari, ha
visto contrarsi di oltre il
50% il reddito familiare, il 10%, corrispondente a più di 145 mila
famiglie, ha perso il 100% delle entrate.
Hanno sostanzialmente
visto contrarsi il proprio reddito circa 365.000 famiglie.
Da dove ripartire? A parte che (è un nostro pensiero) a guidarci fuori e a studiare come impostare il domani non potrà essere un governo palesemente incompetente,
sovraffollato come è di populisti. Troppi errori esso ha commesso nella fase
iniziale dell'epidemia e lo dimostrano le gravissime difficoltà.
L'uscita dalla grave
situazione non può essere quella che vede il governo dispensare elemosine e mance,
l'antica strada democristiana dell’assistenzialismo che consente di raccogliere
voti. Questo è un percorso disperato e senza sbocchi di risolvere le gravi criticità del nostro Meridione, oltre che presagio di ulteriori
disastri.
Una prima indicazione,
che andrebbe accolta sarebbe quella che oggi alcuni giornali propongono è
quella di sburocratizzare la vita pubblica; nessun cittadino deve essere messo
in condizione di non avere bisogno dei Comuni, degli enti, e degli
apparati che creano clientelismo. Bisogna mettere ciascuno di poter camminare con le proprie gambe.
Leggiamo su un quotidiano che
la quarantena in Sicilia è costata due miliardi e 100 milioni al mese in termini
di minor valore aggiunto, con un terzo degli occupati colpiti dal blocco, di
cui poco meno di 165 mila lavoratori autonomi. La perdita di fatturato solo per
gli autonomi è stata pari a ben un miliardo e 635 milioni di euro circa. In un
solo mese di lockdown un lavoratore autonomo siciliano, e molti sono tali, ha
perso mediamente 1.740 euro, che i 600 euro compensati ad aprile dallo Stato
ristorano per circa un terzo.
Serve -per la
ripartenza- la liquidità necessaria non solo con prestiti garantiti ma
anche con contributi a fondo perduto.
Va assicurata ampia
tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, che
rischiano di perdere tutto con conseguenze sulla tenuta sociale dell’area.
Serve un sistema di tutela universale dalla disoccupazione legato a percorsi di
riemersione dalle situazioni "in nero". Non è il reddito di
Cittadinanza perpetuo che consentirà al Meridione di ricostruire una società sana,
civilmente ed economicamente.
Per gli economisti va
certamente curata la
ricostruzione dell’apparato produttivo del Nord per evitare che si spenga
il motore che finora ha trainato il Paese, ma va posta -adesso, subito- cura al
Meridione che da decenni (da sempre ?) procede a folle. Tutto andrà
pensato -leggiamo su testi universitari- orientandosi verso una politica
complessiva orientata alla ricostruzione dei diritti di cittadinanza del
Mezzogiorno, dai trasporti, alla sanità, all’istruzione attraverso
un’accelerazione della spesa per gli investimenti in infrastrutture sociali. Da noi mancano le strade soprattutto. Benissimo la rapida ricostruzione in pochi mesi del ponte di Genova, ma da noi quando le trazzere diventeranno s-t-r-a-d-e ?
E
necessario però adottare un modello di politica industriale che consenta
di cogliere le opportunità che già esistono nel Sud attorno alla green economy.
La Sicilia deve essere al centro di questo processo. Altro che
l'assistenzialismo di marca democristiana, clientelare, quella che ci terrà inchiodata ancora per decenni nel sottosviluppo.
La crisi affidata
semplicemente al commercio e al turismo frazionato, è fragile. Lo abbiamo visto in anni recenti. Che fare? Non è vero che
in Sicilia non si può fare impresa. Tanto per iniziare deve iniziarsi
dall’agro-alimentare, settore di punta del sistema regionale. Non basta che ogni mattina gli autotreni superino con carichi lo Stretto di Messina. Gli stessi devono varcare lo stretto dopo le lavorazioni industriali che oggi -su di essi- avvengono nel continente.
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