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sabato 25 aprile 2020

25 Aprile 1945. Due contessioti prigionieri dei tedeschi si incontrano nei territori prussiani. Stentano a riconoscersi perchè malnutriti

Prigioniero, internato, violato nei diritti umani

Dopo l’8 settembre 1943 un concittadino, un contessioto, mentre assolveva il ruolo di militare in Campania, visse la drammatica esperienza della deportazione nei lager, campi di concentramento tedeschi. 
Le memorie di prigionia di Pietro vennero raccontate ai familiari durante le lunghe serate degli anni cinquanta (a Contessa ancora non era arrivata la tv) e nessuno, allora, dei familiari pensò di raccogliere, di trascrivere quelle incredibili storie.
Tanti, comunque, dei parenti, figli e cugini conservano memoria di quei racconti dal vivo che riferivano di sofferenze, sacrifici, umiliazioni, ma anche di dignità e di coraggio. Racconti di un italiano che seppe attraversare la violenza della guerra, della prigionia e dell'umiliazione senza farsi travolgere, senza smarrire i principi ricevuto dalla famiglia, dall’ambiente di provenienza.
Pietro era un trentatreenne nella mattinata dell'8 settembre quando si vide circondato dai militari con divise tedesche, condotto presso la locale stazione ferroviario  e fatto salire su un carro bestiame già più che affollato da altri militari italiani prigionieri.

Il treno non marciò costantemente e continuamente in direzione del Brennero; periodicamente si fermava presso stazioni secondarie di provincia e mai -durante quelle soste- ai prigionieri venne concesso di scendere per poter bere un poco di acqua presso le fontanelle o per ottenere del cibo dalle donne del luogo che pure si avvicinavano alle fermate per provare a dare delle fette di pane ai prigionieri richiusi in quei carri bestiame. 
Dalla Campania al Brennero -e durante gli oltre 15/20 giorni di quel lento viaggio- fu concesso ai militari italiani solamente due volte di scendere a terra per soddisfare i fisiologici bisogni all'interno di limitati spazi interni alle due stazioni. A stabilire la durata delle due uniche soste a terra erano le mitragliatrici che iniziavano a sparare alle gambe di chi si attardava a risalire sui carri bestiame. Chi cadeva a terra veniva finito prima che il treno riprendesse la corsa. 
All'interno dei carri oltre che con la fame si conviveva con la puzza conseguente ai bisogni fisiologici che tutti quei prigionieri erano costretti a fare in un angolo dei singoli vagoni.

Superato il Brennero i prigionieri furono smistati (non saprei dire sulla base di quale criterio) alcuni nella parte occidentale della Germania altri -furono fatti salire su altri carri bestiame e inviati in direzione della Prussia ed altri ancora -compreso Pietro- in Prussia Orientale, oltre la Polonia.

Qui, per intanto sospendo la narrazione che conto di sistemare con l'aiuto di quei parenti, tutti, che in quei primi anni cinquanta, sera dopo sera e per più anni, ascoltavano quelle incredibili vicende di un uomo scalzo, rivestito di stracci, che per tre inverni fu costretto a muoversi in mezzo alla neve alta anche due metri.
Tanti dei prigionieri che si trovavano con Pietro non tornarono, o meglio non sopravvissero nei campi di concentramento da cui erano obbligati a prestare lavori di diversi tipi. 
Nella disavventura Pietro fu fortunato: all'inizio della permanenza nel campo gli fu chiesto quale attività lavorativa facesse nella vita civile ed egli disse di essere mugnaio. Stette all'interno del campo per alcuni mesi e fu mandato prima a lavorare in impianti (industrie pesanti) quindi per altri mesi in altri servizi ed un giorno fu convocato dai militari che comandavano il campo e gli fu chiesto se avesse mai fatto attività di mugnaio. Ovviamente confermò quanto aveva già dichiarato e fu riassegnato ad una famiglia, in verità ad una donna il cui marito era in guerra nel fronte russo, perchè la aiutasse a condurre l'attività (notte e giorno) di un mulino.
La prigionia di Pietro in un certo senso divenne più lieve: tenere in funzione a ciclo continuo il mulino implicò la possibilità di poter mangiare almeno "farina". In realtà la proprietaria dell'impianto gli forni anche degli abiti già appartenuti al marito di cui si seppe in seguito che era morto nei combattimenti contro i russi. Nei fine settimana la signora portava a Pietro pure qualcosa di caldo.
La signora da parte sua veniva gratificata dal comando militare tedesco perchè l'impianto molitorio rispettava le consegne dei sacchi di farina prescritti per le forze armate con regolarità settimanale. Pietro pur di non tornare nel campo dove già tanti dei commilitoni erano "caduti", oltre che il mugnaio faceva il tecnico-meccanico e riusciva a tenere in efficienza e funzione l'impianto in tutte le ventiquattro ore giornaliere.

In una mattinata, ai primi del 1945, Pietro vide arrivare la padrona che gli consegnò degli abiti civili (presumibilmente del marito deceduto ) e gli disse di abbandonare quella zona della Prussia perchè il fronte di combattimento era stato sopraffatto dai russi e lei e tutti i tedeschi e le tedesche stavano arretrando in direzione della Prussia Occidentale.
La Signora cercò di spiegare a Pietro dove lui poteva indirizzarsi: una stazione ferroviaria che distava alcune settane di cammino percorso a piedi. Si trattava per Pietro di mettersi in cammino per alcune settimane, in pieno inverno con la neve alta anche oltre i due metri.

Narrare nei dettagli l'avventura che da gennaio a ottobre del 1945 capitò a Pietro (persino a guerra ultimata, e quando finalmente raggiunge casa)   esige  di dover scrivere parecchie pagine e parecchie vicende. Lo faremo forse in appresso. Si tratta di dover riferire avventure che lo vedono restare per giorni e settimane senza cibo, nascondersi ai frequenti passaggi dei militari tedeschi in ritirata dall'est e mentre puntavano verso ovest; il doversi nascondere in grotte scavate nel ghiaccio a temperature di parecchi gradi sotto zero o addirittura in accumuli di concime animale per evitare di morire di freddo.
Gli abiti ricevuti dalla proprietaria del mulino erano già diventati stracci; stracci per coprire i piedi con cui bisognava mettersi in cammino per raggiungere la presunta ferrovia suggerita/additata dalla padrona del mulino.
Pietro incontrò altri italiani sbandati e affamati come lo era lui che non sapevano nemmeno loro verso dove puntare; sbandati, affamati e diffidenti come lo era lui. La terribile situazione in cui tutti quei sbandati si trovavano non fece scattare in nessuno di loro lo spirito di solidarietà; avrebbero potuto unire gli ingegni e individuare una strada, una meta, una motivazione. Accadeva, invece, che ci si incontrava, ci si nascondeva tutti quando transitavano mezzi militari tedeschi in ritirata ma dopo ciascuno preferiva andare da solo (per non dare all'occhio) in direzione di una presunta introvabile stazione ferroviaria da dove tornare a casa. 
Per quei primi mesi del 1945 e fino ad Aprile quando finalmente Pietro raggiunge una stazione, ma non è detto che fosse quella che la padrona del mulino gli aveva suggerito, l'alimentazione di Pietro era costituita da legna, rami nudi di alberi e foglie.
Nella fatidica (ma verosimilmente non era quella suggeritagli) stazione Pietro arrivò probabilmente dopo un paio, o forse più, di mesi: era una stazione priva di binari. Erano stati rimossi dai tedeschi in ritirata.
Pietro in quella stazione dove c'erano parecchi altri prigionieri italiani, ucraini ed di varie nazionalità crede di vedere, di riconoscere, ma non è certo, un ulteriore Pietro, un arbëreshe, un contessioto. Nota che anche quello lo scruta, lo osserva e ad un certo punto entrambi si abbracciano proferendo simultaneamente un lungo Piiitrììììì, l'inclinazione arbëreshë di Pietro. Entrambi erano -alla lettera- pelle ed ossa, usciti da chissà dove, ma stettero a lungo abbracciati, anzi piansero entrambi.

Da quell'Aprile 1945 Pietro formalmente non fu un prigioniero ma verrà egualmente trattenuto dai russi che, oltre ad offrirgli di restare da quelle parti per contribuire alla ricostruzione di quel vastissimo Paese, per rilasciare tutti quei soldati occidentali hanno preteso risarcimenti per i danni subiti dall'invasione nazi-fascista. Pietro tornerà a Contessa a Ottobre inoltrato del 1945, quando a casa tutti pensavano che forse era ...

Dell'incontro fra i due Pietro possediamo una video cassetta di Pietro secondo registrata un paio di decenni fa; essa riporta la testimonianza dell'incontro in terra prussiana.
Si potrebbe, si deve scrivere, un libretto rievocativo dei due arbëreshe contessioti che si incontrano nelle terre dell'Europa Orientale, a testimonianza della violenza esercitata sugli esseri umani da parte di chi ritiene che sussistano supremazie di tipo razziale (nazi-fascismo). 
Associando in un libretto le due storie contribuiremo -in piccolo- a far capire ai sovranisti di ovunque quanto abbia fatto male all'umanità intera l'aver voluto quella contrapposizione mondiale fra popoli, fra esseri umani.

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