Dalla rivista Limes stralciamo alcuni testi
Il dibattito sulla nazione albanese è oggi dominato da quella che si chiama «questione nazionale» (çështja
kombëtare).
La questione nazionale ha origine dalla differenza esistente
tra l’estensione dello Stato albanese e quella delle terre nazionali. Le
frontiere stabilite nel 1913 per il nuovo Stato lasciano effettivamente fuori
una parte importante dei territori popolati da albanesi e rivendicati
dall’Albania fin dagli inizi del movimento nazionale, alla metà del XIX secolo:
una parte del Montenegro (in particolare, la città di Dulcigno),
il Kosovo, la
Macedonia occidentale,
la Ciamuria (in Epiro)
e una parte della Macedonia greca
(Kastoria, Florina).
Se la Ciamuria, la Macedonia e il Kosovo sono grandi
cause nazionali, almeno nelle affermazioni dei media e della classe politica,
nessuna di tali regioni ingloba la regione greca situata di fronte alla città
di Korçë, nell’Albania sud-orientale.
Al
di là di Korçë, tuttavia, i dintorni di Kastoria e Florina assumono
un’importanza particolare: gli albanesi fanno notare che sebbene i villaggi
dell’unità amministrativa di Kastoria siano abitati attualmente da greci e i
villaggi dell’unità amministrativa di Florina siano stati e siano ancora oggi
in parte abitati da slavofoni, tutta la regione è albanese e costituisce una
parte dei «territori albanesi» (troje shqiptare), indipendentemente
dalla popolazione che oggi li occupa. Se attualmente la popolazione non è più
albanese – dicono – è perché gli albanesi sono stati scacciati. In realtà,
quando fu effettuato uno scambio di popolazione tra Grecia e Turchia, in
seguito al trattato di Losanna del 1923, gli abitanti di questi villaggi, in
maggioranza musulmani, furono spostati verso la Turchia anche se erano di
lingua albanese, e le loro case furono occupate da cristiani provenienti
dall’Asia minore. Un piccolo numero di musulmani, tuttavia, attraversò la
frontiera albanese e i loro discendenti vivono ancora oggi in Albania.
Il ragionamento che oggi si fa in Albania si presenta
sotto due diverse forme: l’una veicolata
da una locale élite intellettuale interessata alla storia dell’Albania e alla
definizione delle sue frontiere, e l’altra portata avanti dai discendenti dei
vecchi abitanti di questi villaggi, entrati in Albania nel 1924. Entrambe le
versioni offrono un chiarimento sulla questione nazionale, in particolare sulla
mancanza del territorio inerente alla nozione di patria, poiché si afferma che
i villaggi di Kastoria appartengono alla «patria» (atdheo vatan).
L’argomento principale della prima variante del
discorso sui villaggi di Kastoria consiste nel dire che le frontiere
attualmente albanesi, che datano 1913 (con leggere modifiche apportate nel
1924), non sono sempre state quelle di oggi e «in passato erano spostate molto
più avanti». Si può così sostenere, come fa il
direttore della scuola di un villaggio frontaliero albanese, che «in passato,
le frontiere dell’Albania giungevano fino a Preveza, Grevera e Tessalonica (in
Grecia). A nord, l’Albania comprendeva Dulcigno, Plav e tutto l’attuale Kosovo;
in Macedonia, Tetovo e Skopje. L’Albania è stata impiccolita dalle grandi
potenze». Poiché l’esistenza di «terra nazionale» oltre le frontiere statali
non è limitata a territori a sud dell’Albania, la versione storica permette di
riproporre la questione dei villaggi di Kastoria nell’ambito di un discorso
generale sull’Albania. Nella differenza tra le frontiere nazionali e quelle
dello Stato viene così messa in giuoco l’identità nazionale.
Le origini della versione storica sono politiche e
possono essere rintracciate fin dalla fine del XIX secolo tra i promotori
dell’indipendenza albanese. La stessa
definizione «estremista» dei territori albanesi si trova in un libro recente di
Rexhep Qosja [5], scrittore e uomo politico del Kosovo: tutto quello che non
rientrava nelle frontiere degli Stati balcanici già costituiti nel 1912
(Grecia, Serbia, Montenegro, Bulgaria) è potenzialmente albanese e ogni
acquisizione ottenuta da questi Stati dopo il 1912 è considerata una perdita subita
dall’Albania.
La seconda variante può essere definita popolare,
poiché non è proposta come un enunciato scientifico, ma è sorta dall’esperienza
stessa della gente che dovette abbandonare i villaggi di Kastoria nel 1924. Secondo tale variante, fino al 1924 questi villaggi
erano stati abitati da albanesi in maggioranza musulmani, che dovettero
abbandonare le loro case, le loro terre e i loro beni quando «i greci decisero
che la Grecia fosse dei cristiani». Un abitante di un villaggio frontaliero
racconta: «Io sono nato nel febbraio 1924. Allora l’Albania si estendeva fino a
Tessalonica… Mio padre parlava spesso di Revan (il suo villaggio natale, in
Grecia); è morto con la parola patria sulle labbra».
Questa versione, come si vede, nasce da un’esperienza
vissuta, quella dello scambio di popolazione tra la Grecia e la Turchia,
avvenuto nel 1923. Contrariamente ai musulmani della
Ciamuria, in Epiro, riconosciuti come albanesi e pertanto esclusi dallo
scambio, sembra che la sorte dei musulmani di Kastoria, pure albanofoni, ma la
cui «albanità» non fu riconosciuta, sia stata diversa. Ancora nel 1998 i
musulmani albanofoni del vicino territorio albanese si definiscono «turchi»,
intendendo con ciò che sono musulmani.
Si noterà anche la dimensione religiosa della versione
popolare: gli albanesi affermano di essere
stati scacciati, in quanto musulmani, da un paese cristiano. La ragione per la
quale viene sviluppato un discorso apparentemente irredentista non è tanto la
speranza di veder l’Albania occupare un così vasto territorio, conformemente
alla prima versione, e neppure la speranza di recuperare i soli villaggi di
Kastoria. Bisogna piuttosto distinguere, nell’una e nell’altra variante, due
essenziali dimensioni.
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