StatCounter

giovedì 6 novembre 2025

La Bainsizza nei ricordi del nonno

 Il nonno voleva che ricordassi le sue esperienze di guerra, di vita da mulinaro, di allevatore di api, di agricoltore.

La battaglia dura dal
19 agosto al 12
settembre.

Alla fine circa 400 dei 600
battaglioni italiani impiegati
avevano perso da metà a
due terzi dei loro effettivi.
Ogni battaglione contava
da 500 a 1000 uomini.



Ero studente a Palermo, al primo anno della facoltà di Economia,  nei giorni in cui morì il nonno paterno e negli stessi giorni in cui la terra tremo’ nella Valle del Belice (era il gennaio 1968). Del nonno, di cui più volte avevo ascoltato la sua esperienza di guerra sulla Bainsizza, ricordo il rammarico di essersi trovato in estrema difficoltà della vita, egli che in quanto padre di una famiglia con cinque figli tutti minori, non avrebbe -per legge- dovuto trovarsi sulle Alpi a combattere per la Patria nella guerra 1915-18. Attribuiva quella sua destinazione sul fronte dei combattimenti a certe cattiverie umane e inimicizie politiche-umane.

 La Bainsizza e gli assalti alla baionetta.

Gli assalti alla baionetta alla Bainsizza, durante l'undicesima battaglia dell'Isonzo nell'agosto 1917, furono attacchi frontali in cui i soldati italiani avanzavano contro le linee nemiche austro-ungariche con il fucile e la baionetta innestata. I
nizialmente le truppe italiane sembrarono vittoriose con la cattura di numerosi prigionieri e però gli assalti si rivelarono estremamente costosi e alla fine inutili, causando decine di migliaia di morti e feriti per guadagni territoriali minimi. Quella battaglia, nonostante l'accuratezza della preparazione, si concluse con una grande delusione e non portò a un successo decisivo, contribuendo alla stanchezza e alla sfiducia nel sacrificio della guerra.

L'attacco consisteva nell'avanzare a corpo a corpo contro il nemico austriaco, spesso con il fucile e la baionetta in canna, e urlando "Savoia!”. Le truppe dovevano affrontare il filo spinato e le mitragliatrici nemiche, che falciavano molti soldati durante l'avanzata. La carneficina era altissima. Chi veniva colpito dal filo spinato spesso restava ferito e urlava, e gli scontri corpo a corpo erano cruenti.

Quella della Bainsizza, raccontava il nonno, fu l'undicesima delle undici battaglie offensive sull'Isonzo, preceduta da una preparazione accurata e dall'impiego di grandi risorse e però la battaglia causò perdite enormi (circa 40.000 morti e 108.000 feriti italiani) per guadagni territoriali niente affatto  significativi. L'entusiasmo iniziale lasciò presto spazio alla disillusione e alla stanchezza, con la consapevolezza dell'inutilità del sacrificio dei tanti morti, come testimoniano le lettere pubblicate su più libri e come il nonno non cessò mai di testimoniare.

La vittoria -semplicemente tattica- italiana sull'altopiano della Bainsizza convinse l'Austria-Ungheria a chiedere aiuto alla Germania, che rispose con un massiccio intervento che portò alla disastrosa disfatta di Caporetto poco dopo. Nell’agosto 1917, proprio mentre infuriava la battaglia della Bainsizza, a Torino ci fu una rivolta per il pane repressa nel sangue, con decine di morti. Dopo questi racconti, il nonno ripeteva che egli, padre di cinque figli tutti  minorenni non doveva trovarsi lì dove più forte infuriava la battaglia contro gli austro-ungarici. E alludeva alla cattiveria di qualcuno. Un qualcuno che egli riferì a me, per nome e cognome, e che originava da motivazioni politiche; ma ovviamente -in quel contesto- di cattiveria umana si trattò.

Nessun commento:

Posta un commento