Sintesi di un lungo articolo ripreso da IL SOLE 24 ORE
L’inchiesta della Procura di Palermo, che ha portato all’arresto del sicilianissimo Totò’ Cuffaro per corruzione e turbativa d’asta, ha evidenziato che nonostante per anni abbia pubblicamente ripetuto il contrario, Totò Cuffaro mirava di ricandidarsi alla presidenza della Regione.
I magistrati evidenziano che Cuffaro a volte usava i telefonini della moglie e quello di un altro collaboratore. Era parecchio attento nelle comunicazioni con collaboratori e non. Per tutelarsi dalle mosse degli inquirenti Cuffaro avrebbe stretto rapporti con un colonnello dell’Arma, e un ex poliziotto, pronti a rivelargli notizie riservate su inchieste in corso.
Nell’inchiesta è spuntato anche il Ponte sullo Stretto. Gli accertamenti ovviamente sono pieni di omissis dedicati agli interessi suscitati dall’opera. L’indagine sull’ex Presidente regionale comunque verte principalmente sulla sanità. Sua preoccupazione erano i vertici delle aziende sanitarie e la loro meticolosa spartizione. «Noi abbiamo Enna, Palermo e Siracusa» diceva Cuffaro, non sapendo di essere intercettato dalla Procura di Palermo. Parole che, secondo i pm, dimostrano «l’influenza e l’ingerenza nella gestione strategica dei posti di maggiore responsabilità nel mondo della sanità regionale».
Per i magistrati le ragioni di tanto interesse «sono di immediata intuizione e vanno ravvisate nell’enorme quantità di risorse economiche, e non solo, che circolano in questo settore, sulla cui regolamentazione, gestione e normazione, peraltro, la competenza è regionale». Secondo le indagini suo obiettivo era di accaparrarsi un terzo delle posizioni di vertice delle Asp siciliane nello specifico, quelle di Palermo, Enna e Siracusa. Mettere al posto giusto gli uomini ’giusti’ avrebbe consentito, secondo chi indaga, all’ex governatore di condizionare appalti, truccare concorsi, il tutto per consolidare il suo potere.
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