Non abbiamo finora affrontato organicamente come ed in quali condizioni umane, giuridiche e religiose, gli arbëreshe arrivati nei territori dei Peralta-Cardona lavorassero all'interno della baronia dal Cinquecento al Settecento -periodo feudale-. Per farlo stiamo preliminarmente provando a capire come, gli altri -quelli che rimasero nel Balcani- vivessero nella patria di origine.
Ci avvaliamo ovviamenti di studi attendibili e di alto profilo.
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I Balcani del Quattrocento erano rotte commerciali tra Europa ed Asia, le città e le realtà urbanizzate erano protette da fortezze ed amministrate da ordinati organismi imperiali al fine di garantire uomini all'esercito e derrare alle popolazioni. Abbiamo già riferito che nelle campagne nulla cambiò nel passaggio dall'Impero Romano d'Oriente all'Impero Ottomano. I nuovi dominatori, pare, non cercassero terre da coltivare.
Se la campagna rimase con i suoi ordinamenti e assetti (pure religiosi) nelle città l'ordinamento ottomano previde la nascita delle corporazioni (esnãf) che accanto alla tutela economica dei partecipanti serviva per l'assetto ed il controllo "politico" delle città. Servivano, venivano usate dalle autorità, ovviamente per la crescita culturale, che ovviamente veniva curata in chiave mussulmana. Nei limiti in cui riuscivano ad autofinanziarsi le l'edificazione ed il funzionamento delle chiese cristiane non venivano ostacolate.
L’Impero ottomano ha dominato i Balcani per oltre cinque secoli, influenzando notevolmente la cultura e la religione del posto, più nelle città che nelle campagne.
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