Fascismo,
regime ambiguo, ma non tanto!
Le premesse istituzionali
In via molto teorica durante il regime fascista in Italia vigeva la costituzione liberale, quella concessa nel 1848 da Carlo Alberto, che nel 1861 fu estesa all'intera penisola. Quella costituzione affidava al re il potere esecutivo, nel senso che egli nominava e revocava i ministri i quali rispondevano a lui del loro operato, compreso il primo ministro. Il re chiedeva consiglio ai ministri ma era libero di scegliere un percorso politico diverso, pur dovendo spiegare al Parlamento le ragioni del suo operato. Il re poteva emanare decreti dotati della stessa validità delle leggi varate dal Parlamento.
Nel 1912 Giolitti estese il diritto di voto a tutti gli italiani di almeno 30 anni che avessero compiuto il servizio militare e ai ventunenni che sapessero leggere e scrivere. Le donne erano escluse dai diritti elettorali.
Quando il regime fascita si impone negli anni venti del novecento avrebbe dovuto puntare, sulla base tracciata dallo Statuto in direzione di un ulteriore rafforzamento dell'esecutivo, incece puntò -nella prima fase- in direzione di un caricaturale rafforzamento parlamentare. Anche se nella fase iniziale il Fascismo in Parlamento non disponeva dei voti il Governo non pensò mai di dimettersi (ecco perchè si trattò di via parlamentare caricaturale). Ancora; il potere giudiziario veniva strettamente controllato dall'esecutivo attraverso il Ministero di Grazia e Giustizia.
Lo Statuto consentiva al Re di nominare infornate di senatori, a prescindere dalle elezioni popolari. Ecco perchè i Savoia non meritarono indulgenza nel post-guerra: essi nella fase nascente del Fascismo nominarono nell'aula del senato continue figure fasciste al fine di controbilanciare la Camera dove i fascisti erano estrema minoranza. La monarchia fu quindi complice della dittatura. Il sistema costituzionale creato da Carlo Alberto nel 1848 teneva già in sè i germi capaci di sviluppare ciò che il fascismo realizzò: la dittatura. La monarchia dei Savoia non mostrò infatti mai sensibilità in senso democratico; essa si sostenne sempre sulle forze armate e dai primi del Novecento sui nazionalisti. Bastò che il re e il capo del fascismo delle origine, forza estremamente minoritaria nelle urne, si mettessero d'accordo per far decollare il Paese in direzione di una dittatura, e tutto ciò senza violare la lettera dello Statuto. Era già successo nel 1915: il paese si era espresso nelle urne in maggioranza favorevolmente per i partiti neutralisti rispetto alla guerra, bastò l'accordo tra il re Vittorio Emanuele III, il presidente del Consiglio Salandra e il ministro degli esteri Sonnino per gettare l'Italia nella guerra.
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