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martedì 27 ottobre 2020

Accadde oggi; 28 Ottobre, in Sicilia

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Su questa pagina generalmente curiamo -in breve- episodi di vita siciliana dei tempi andati. Cercavamo qualcosa sulla cultura siciliana e ci è capitato un intervento all'Ars di un politico di 60-70 anni fa. Tratta della scuola di allora, con l'ottica di allora. Non riferiamo l'appartenenza politica, non è questo infatti che ci proponiamo di dover cogliere, bensì la disamina sulla scuola di oltre mezzo secolo fa. 

Chi leggerà scoprirà l'ottica con cui -allora- veniva considerata la scuola. A conclusione della lettura torni ad ascoltare in tv come la scuola dei nostri giorni, sotto la pressione del coronavirus, viene interpretata dai politici attuali.

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 Seguito della discussione del disegno di legge: « Stati di previsione dell’entrata e della spesa della Regione siciliana per anno finanziario dal 1° luglio 1954 al 30 giugno 1955»  Seduta del 28 Ottobre 1954

PRESIDENTE. 

L’ordine del giorno reca il seguito della discussione generale del disegno di legge: « Stati di previsione dell’entrata e della spesa della Regione siciliana per l’anno finanziario dal 1° luglio 1954 al 30 giugno 1955 » e precisamente della rubrica dello stato li previsione della spesa «Pubblica istruzione». E’ iscritto a parlare l’onorevole Foti. Ne ha facoltà. 

FOTI. 

Signor Presidente, onorevoli colleghi, bisogna riconoscere che l’interesse per i problemi della politica della istruzione pubblica non solo non è stato molto diffuso, ma non ha superato nemmeno la limitata cerchia delle persone più direttamente interessate alla vita della scuola. Eppure'i problemi della scuola sono, per la loro natura, accessibili a tutti, più di quelli economici e finanziari. Di chi la colpa della impreparazione e del disinteresse del pubblico di fronte alle questioni di politica scolastica? Anzitutto del pubblico stesso, il quale ha trovato comodo credere che la educazione fosse compito esclusivo della scuola, mentre la scuola non è altro che un momento della educazione del popolo. 

Oggi il popolo pensa: lo Stato è il detentore dell’educazione, ottenuta per mezzo della scuola; se la veda lo Stato e la scuola lavori da sè... E così si è sdrucciolati, senza scosse, nel centralismo burocratico; il pubblico e la scuola non hanno più sintonizzato, e i fanciulli hanno udito in casa bestemmiare e maledire gli idoli che i maestri avevano loro insegnato a venerare nelle ore di scuola. La parola del maestro ha perso del suo credito; ed è quindi il dramma della scuola che va inquadrato nel più grande dramma della nostra storia recente. Gli educatori sono pervasi di malinconia o di rimpianto, o rimangono scettici o diffidenti. Scottati dall’acqua calda, temono di immergersi in quella fredda. Ma bisogna che si immergano per la salute loro e di quelli che ricorrono a loro chiedendo parole di fede e insegnamenti per la vita. Bisogna che vincano il disgusto delle delusioni e che partecipino alla vita pubblica, a ciò che vi è di doloroso e di umano nelle lotte sociali; debbono uscire dai propri sogni e dalle nostalgie personali, toccar terra, insomma, e scegliere la propria bandiera; debbono pensare che il meglio della vita non è trascorso, che la loro grande stagione non è passata, ma deve ancora venire. La colpa del disinteresse del pubblico verso la vita della scuola è da attribuirsi in parte proprio alla scuola, quand’essa, nei tentativi di ne psicologico, l’arresto cioè delle facoltà riflessive, l’attitudine passiva, la prigionia dello schermo e la conseguente fatalizzazione della realtà, ed il pericolo di ordine morale, quando il fanciullo veda cose o fatti osceni che precorrono la sua esperienza nel mondo affettivo, sentimentale, passionale o che rappresentano aspetti violenti, abietti, immorali, della vita stessa. Chiudere, quindi, le sale ai minori di sedici anni? Non siamo così ingenui: chi non sa ormai che il « vietato ai minori di sedici anni » è una reclame per attirare minori e maggiori nella sala? Nè tanto meno credo che basti un decreto legge per moralizzare il cinema giovanile. L’Assessorato potrebbe intervenire incrementando al massimo circuiti di pellicole e sale di proiezioni solo per i giovani con films adatti alla loro età ed alle loro esigenze, al loro desiderio di conoscere cose diverse: dobbiamo fare del film uno strumento educativo, ricreativo, e didattico insieme, senza pedanteria e senza falsi scopi; un film che attiri ed interessi, che educhi senza annoiare e senza « ammaestrare ». Dobbiamo soprattutto fare conoscere alle famiglie, tramite la scuola, convegni, riunioni, questi pericoli e questi problemi. Solo in tal modo si potrà attuare la funzione sociale del cinematografo ed esso potrà divenire per i giovani, se non addirittura educativo, perlomeno inoffensivo alla morale. « Vivere il vero nella scuola » : sia questa la meta da raggiungere. La scuola non bisogna vederla solo nella sua funzione di preparare alla vita, di sviluppare le facoltà del fanciullo perchè questi possa domani affermarsi in mezzo ai suoi simili; ma nel dare una educazione fondata sugli universali, cioè sul vero e sul bene, soli oggetti validi sempre ed adeguati alla natura razionale dell’uomo. difendersi da pericolose invadenze, si chiude gelosa in sè, volendo trarre da se stessa le sue leggi, scivolano quindi nel didatticismo utile, ma miope. I cultori della didattica della scuola sono indispensabili come i macchinisti nella locomotiva. I macchinisti, per fare procedere la locomotiva, qua stringono un bullone, là una vite, ma non vedono un paesaggio, nè sanno il perchè del viaggio. I cultori della didattica facilitano l’apprendimento, insaponano le difficoltà e inzuccherano la morale; ma, assorti in tali faccende particolari, perdono di vista le categorie, gli universali, da cui non ci si può discostare, se si vuole agire efficacemente nel campo dello spirito. II metodo ha prevalso sul fine: solo nel grado di perfezione che hanno raggiunto i metodi di insegnamento, solo nello sviluppo raggiunto dalla metodologia può dirsi che la scuola contemporanea sia migliore di quella dei nostri avi. Quanto ai fini, non c’è stato progresso. E’ necessario che l’Assessorato studi come intervenire, onde consentire che il progresso tecnico e scientifico proceda di pari passo con quello morale. L’Assessorato si preoccupi che la educazione non sia solo attraente e debole contemporaneamente, che non si approfondisca con i reattivi mentali, ma che diventi ricca di ideali. Signor Assessore, ciò che oggi pare abbia maggiore successo fra moltissimi educatori è il contingente utilitario, il dato fenomenico estraneo ad ogni sistemazione filosofica e religiosa. La scuola, dietro la siepe, ha affrontato e risolto i suoi problemi interni, come problemi tecnici, con un gergo tutto proprio e poco accessibile al pubblico; si intervenga a che la scuola apra porte e finestre perchè il pubblico partecipi alla soluzione dei problemi stessi. I frequenti vivaci convegni didattici siano aperti ai genitori degli scolari, in modo che questi possano apprendere l’arte e i segreti dell’insegnamento e portino il loro efficace contributo di esperienza, ripresentando ai maestri gli scolari come figli. Ma, si dirà, quali e quanti genitori avrebbero corrisposto o corrisponderanno ad un simile appello? Noi non crediamo ai risultati miracolistici, perchè si sa come sia spesso vano fare appello alla collaborazione delle famiglie; tuttavia l’esperimento è da tentare’ con fiducia. E’ tempo di gettare un ampio e solido ponte fra la società e la scuola, in modo che vi sia un intenso scambio di vita. Il compito attuale della scuola è di dare una educazione rispondente ai bisogni di domani. E per ciò non è tanto questione di riforme che consentano di conquistare i segni dell’alfabeto in tre mesi anziché in sei, bensì di riforme che mettano la scuola in condizione di fare il popolo più degno di Dio qualche migliaio di anni più presto e in grado di liberare gli uomini da qualche migliaio di anni di lotta e di sofferenza. Si chiede perciò che la scuola assuma il suo ruolo di avanguardia, rinnovando obiettivi e strumenti che si sono infranti o consumati per l’uso che se n’è fatto. Un altro tema da trattare mi viene suggerito dall’inchiesta sulla disoccupazione diretta dal ministro Tremelloni, che, ad onor del vero, è servita a raccogliere utili notizie attorno a questo dannoso fenomeno che conturba e trattiene lo slancio della nostra economia. Ho letto giorni fa sulla stampa che il ministro Vigorelli, che pure ha portato a termine un’altra inchiesta sulla miseria, ha intenzione di fare passare un provvedimento mirante a ridurre le ore straordinarie di lavoro, dimostrando con ciò di non essersi reso perfettamente conto delle condizioni della nostra disoccupazione, perchè non ha compreso che la nostra disoccupazione è soprattuti una disoccupazione di manovali, ossia di operai, i quali sanno fare tutti i mestieri, quindi non ne sanno fare bene uno. Anche per noi, che abbiamo delle responsabilità regionali, è bene che i problemi della disoccupazione vengano considerati nelle loro profondi radici senza che si possa aspettare alcunché da provvedimenti taumaturgici che in realtà, non esistono. Esaminando bene il problema della disoccupazione, centro subito la mia attenzione su un fatto essenziale che è quello dell’ignoranza, cioè della non qualificazione degli operai. Infatti, esiste allo stato attuale un grande divario che va sempre più accentuandosi, tra il grado di struzione richiesto dalle moderne attrezzature produttive e quello fornito dalle nostre scuole. Ecco, quindi, la necessità di rendere seriamente e coscientemente efficace l’istruzione professionale specie da noi, in Sicilia, dove gli investimenti della Gassa del Mezzogiorno e quelli della Regione rischiano d’essere fatti a vuoto, poiché ad un certo momento mancherà la mano d’opera adatta per mandare avanti le attrezzature messe in piedi con gli investimenti stessi. Si deve comprendere che l’industria moderna è piuttosto un’industria di cervelli che di braccia, come ad evidenza dimostra il rallentamento della nostra emigrazione rispetto al passato. In altri tempi fiotti continui di italiani andavano all’estero perchè erano in grado di fornire braccia e volontà di lavoro. Ai giorni nostri, al contrario, non si richiedono più braccia nerborute, ma cervelli acuti e preparati: Noi possiamo farci le più belle illusioni di questo mondo nel pensare di pianificare e proteggere l’emigrazione ; ma, se non saremo in grado di immettere in questa emigrazione operai specializzati, faremo un buco nella acqua; tanto più che gli operai specializzati scarseggiano già in Sicilia e non c’è affatto bisogno di lasciarli andare all’estero. Il problema delle scuole professionali non è tanto quello di istituirne sempre di nuove, ma anche quello di trovare insegnanti adatti per tenere corsi regolari. Problema assai complesso, che non si risolve con un colpo di bacchetta magica. Insisto, quindi, sul parallelismo tra disoccupazione ed ignoranza. Pertanto, mi permetto sottoporre all’esame dell’onorevole Assessore la necessità di istituire, d’accordo con l’Assessore al lavoro, un istituto regionale di orientamento professionale, che dovrebbe servire a formare i lavoratori, portandoli all’altezza dei loro compiti professionali e del progresso scientifico e tecnico e facendo della specializzazione il titolo più valido per la sicurezza dell’impiego: il vero titolo di assicurazione contro la disoccupazione. Passo, ora, a trattare un altro argomento: ogni settimana, tra la più assoluta indifferenza dei genitori e degli educatori, i nostri ragazzi comprano nei chioschi dei giornali una dose di veleno camuffato sotto titoli solleticanti il loro spirito di avventura. Dovremmo rallegrarci se i torchi, che non furono inventati per i ragazzi, oggi gemono per essi e se sono venute affermandosi, appositamente per i ragazzi, alcune forme letterarie e artistiche che originariamente erano pertinenti in modo esclusivo agli adulti...’ Non dovremmo rammaricarci se i ragazzi vogliono essere in tutto e per tutto come gli adulti. Nel secolo del fanciullo, che forse non è lontano, vedremo probabilmente il fanciullo detronizzare l’adulto poiché l’adulto ha per millenni tiranneggiato il fanciullo. Ma ciò che c’inquieta è il modo con cui si fanno certi giornalini e l’insensibilità che dimostrano gli organi responsabili della educazione. Non vi è giornale di genere avventuroso che in tre mesi non totalizzi 150 strangolamenti, 100 bastonature, 500 revolverate, 30 ordigni micidiali. Almeno 4 delle 8 pagine sono dedicate a vicende sanguinose di gangsters in gara con famose avventuriere. Sono gare senza eroismo, senza cavalleria nè nobiltà nè grandezza. Tuttalpiù si hanno prodezze fisiche, che mbn hanno niente a che fare con l’eroismo morale! E che brutta figura su questi giornali fanno tutte le volte i tutori dell’ordine pubblico! O sono messi in ridicolo o vengono « fatti fuori » con raffiche di mitra! Non è, del resto, più onorevole il posto che tocca ai genitori ed agli anziani. La scuola, poi, e i maestri non vengono mai nominati oppure sono considerati istituzioni inventate per relegarvi e mortificare i ragazzi, i cui genitori vogliono stare tranquilli. Ed in tutto ciò non si riesce a cogliere una nota candida e fresca, non vi è il contrasto da cui nasce il comico. Nè si può confondere il solletico con la risata. Che dire poi delle illustrazioni? Trattasi di colori violenti e tali da richiamare alla mente le tavole dimostrative delle malattie della pelle. In genere, le illustrazioni denotano una squallida povertà di immaginazione: le persone hanno tratti marcati, i volti privi di dignità, addirittura caricaturali ed esasperanti come le maschere dell’antica tragedia grega; le movenze sono prive di grazia e le muscolature, vestite o ignude che siano, sono tanto più ipertrofiche quanto più le figure sono prive d’interiorità. Certo che, avvicinandosi ad una edicola, ci si allontana scoraggiati da questi giornali, mentre potrebbero salvare il gusto e la sensibilità prima che l’animo delle giovani generazioni si indurisca. Di questo tutti parliamo, ma nessuno interviene. Qualche volta, per mostrare i danni che possono recare certi giornali per ragazzi, si citano frequenti episodi di delinquenza minorile trapiantati dalle pagine illustrate nella vita reale. Vi sono poi altri danni che si avvertono con minore immediatezza e consìstono nello assenteismo sistematico della lingua italiana, nell’ottundimento della sensibilità, nella disabitudine all’attenzione prolungata e alla lettura continua-; l’ingegno dei lettori di questi giornalacci va volgendo verso le soluzioni facili e di minimo sforzo. Cosa fare? In seno all’Assessorato venga costituita una apposita commissione di vigilanza sulle pubblicazioni dell’infanzia col compito specifico di segnalare alla Magistratura ogni periodico o libro che appaia nocivo alle delicate anime dei fanciulli. Una vigilanza in questo senso può essere un rimedio, ma un rimedio chirurgico, utile soltanto nei casi urgenti e gravi; perchè un rimedio vero e proprio esiste solo in una educazione generale del costume. Un’altra iniziativa che suggerisco è quella di incrementare la diffusione del libro anche tra ragazzi servendosi dei librohus e delle scuole; nel senso di impegnare gli insegnanti alla consegna del libro ai ragazzi invitandoli così alla sana lettura. Contro questa insidia bisogna creare un argine: la stampa non deve insudiciare nè gli occhi nè la coscienza dei ragazzi, ma illuminarne la mente e nobilitarne il cuore. Altrettanto debbo dire per il cinema, che presenta un duplice pericolo: quello di ordi ne psicologico, l’arresto cioè delle facoltà riflessive, l’attitudine passiva, la prigionia dello schermo e la conseguente fatalizzazione della realtà, ed il pericolo di ordine morale, quando il fanciullo veda cose o fatti osceni che precorrono la sua esperienza nel mondo affettivo, sentimentale, passionale o che rappresentano aspetti violenti, abietti, immorali, della vita stessa. Chiudere, quindi, le sale ai minori di sedici anni? Non siamo così ingenui: chi non sa ormai che il « vietato ai minori di sedici anni » è una reclame per attirare minori e maggiori nella sala? Nè tanto meno credo che basti un decreto legge per moralizzare il cinema giovanile. L’Assessorato potrebbe intervenire incrementando al massimo circuiti di pellicole e sale di proiezioni solo per i giovani con films adatti alla loro età ed alle loro esigenze, al loro desiderio di conoscere cose diverse: dobbiamo fare del film uno strumento educativo, ricreativo, e didattico insieme, senza pedanteria e senza falsi scopi; un film che attiri ed interessi, che educhi senza annoiare e senza « ammaestrare ». Dobbiamo soprattutto fare conoscere alle famiglie, tramite la scuola, convegni, riunioni, questi pericoli e questi problemi. Solo in tal modo si potrà attuare la funzione sociale del cinematografo ed esso potrà divenire per i giovani, se non addirittura educativo, perlomeno inoffensivo alla morale. « Vivere il vero nella scuola » : sia questa la meta da raggiungere. La scuola non bisogna vederla solo nella sua funzione di preparare alla vita, di sviluppare le facoltà del fanciullo perchè questi possa domani affermarsi in mezzo ai suoi simili; ma nel dare una educazione fondata sugli universali, cioè sul vero e sul bene, soli oggetti validi sempre ed adeguati alla natura razionale dell’uomo.

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