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lunedì 13 marzo 2023

Federico II ed Entella.

Federico II, personaggio al di là del mito

 e al di qua delle banali semplificazioni

Federico II, l’imperatore svevo, esercita da sempre un indubbio fascino sul periodo normanno-svevo siciliano. Su di lui però le analisi ed i giudizi pencolano da un’ idealizzazione che arriva a farne una sorta di superuomo a una denigrazione che va ben oltre la realtà. Noi cittadini del terzo millennio, residenti in Contessa E., sul territorio che adesso comprende anche lo spazio delle rovine dell'antica città di Entella, fatta radere al suolo da Federico, sappiamo che la gente (mussulmana) che non fu sterminata -dopo  l'assedio- fu costretta, a piedi e a marce forzate, a raggiungere la Puglia per essere destinata a lavori forzati col fine di realizzare lì opere che oggi definiamo "pubbliche". Ma c'è un consistente volume dell'editrice La Terza di M. Fumagalli Beonio Brocchieri "Federico II, Ragione e fortuna", pp. 301, che ne tratteggia -con ombre- la figura mitica, che generalmente gli viene attribuita.


Entella,
 nei decenni di torbidi tra la morte di 
Guglielmo II e la definitiva restaurazione del
regno sotto 
Federico II. fu sede dei
musulmani ribelli guidati dell’emiro 
Muhammad ibn Abbad e ancora nel 1305,
 nonostante la spietata deportazione e la
deportazione in massa a Lucera, era
 attestato un “
tenimentum Antele
(Archivio Arcivescovile di Monreale,
Fondo Mensa, Doc. Varia N536 F59).




 Federico -alla luce delle postume ricerche storiche- fu un uomo, con le sue debolezze e le sue grandi aspirazioni, radicato nel contesto storico complesso, qual fu il secolo XIII, secolo in cui si verificò lo scontro, oltre che contro i mussulmani,  fra sacerdotium e imperium e dal quale prese avviò la decadenza di entrambi i due pilastri su cui si era fondato il potere costruito dai normanni e fino ad allora. Alcuni storici hanno fatto di Federico II un anticipatore dei tempi, nel senso che avrebbe anticipato in Europa i tempi in direzione della laicizzazione della politica, in realtà egli provò di dominare il suo tempo e per fare ciò non esitò ad asservire istituzioni e culture al progetto che però, alla fine, si rivelerà per lui perdente. 

La lingua, la religione, il diritto praticati con ottica ‘nuova’ gli furono strumenti utili a ottenere «la compattezza del corpo del regno per assicurare piena fiducia del sovrano e a garantire il fluire della sua autorità dal capo alle varie membra». Ma ne venne fuori un politico spregiudicato che nel suo agire era guidato dal calcolo, cioè dalla valutazione quasi ragionieristica dei vantaggi che ogni azione avrebbe potuto offrirgli. Lo sterminio ed la persecuzione dei mussulmani inevitabilmente gli appiccicò un volto feroce, capace di delitti efferati, che investì anche gli affetti più cari. 

 In Federico troviamo un raffronto nel suo alleato Ezzelino da Romano a cui suggerisce efferatezze: «suggerisce con un solo gesto e poche parole…il metodo migliore per affermare saldamente la sua autorità: taglia con la spada i fili d’erba più lunghi del prato “così dovrai fare”gli dice e allude ai cittadini di Vicenza più eminenti».

 Sul libro si legge anche di un Federico debole, intriso di una cultura che al razionale preferisce l’irrazionale, che si abbandona ai vaticini degli astrologi, che pratica la magia. Un Federico in buona sostanza carico di contraddizioni, ossessionato da un’idea forte, la restaurazione della sovranità imperiale alla quale assegna un’aurea quasi divina. 

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