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sabato 11 marzo 2023

Appunti di Storia

Per una Storia (preferiamo  scrivere narrazione) della Sicilia baronale, dal Cinquecento in poi,  riporteremo sul blog di tanto in tanto degli appunti utili per incorniciare, ovviamente per chi ama le narrazioni, la vicenda degli arbëreshe di Sicilia. Di quella Sicilia, terra periferica dell'Impero Spagnolo eppure impegnata nella persecuzione degli ebrei.

===La Sicilia nel corso del Cinquecento, in particolare durante gli anni del viceregno di Ferrante Gonzaga (1535-1546), si avviava verso una fase della sua storia che passava «da una collocazione mediterranea, che la vedeva al centro di un mondo plurilingue e pluriculturale» ad un rapporto più stretto con gli altri stati regionali italiani nell’ambito del progetto imperiale di Carlo V, e che Gonzaga riteneva dovesse puntare particolarmente sull’asse territoriale tra Spagna e penisola italiana. 

Il viceregno gonzaghesco fu d'altronde caratterizzato dalla precedente attività svolta del viceré Ettore Pignatelli (1517-1535), che si era fatto carico della pacificazione dell’Isola dopo sette anni di rivolte e sofferenze in più parti del territorio (1516-1523). 

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L’analisi della vita culturale del Regno, nel periodo di consolidamento degli insediamento degli arbëreshe nella Val di Mazara, è bene trattegiata da Antonio Minturno, giunto in Sicilia al seguito del Pignatelli, che nel 1530 scrisse al napoletano Narciso Vertunno circa la sua esperienza vissuta nell'Isola. Scrive Minturno che nonostante il «retaggio … tramandato dai secoli medievali, con una nobile tradizione trilingue, particolarmente radicata nel messinese» egli non aveva registrato, già a partire dal Quattrocento, nessuna presenza di figure e circoli che fungessero da punti di riferimento e che fossero capaci di imporsi all’attenzione anche di coloro che operavano all’estero. Nell'Isola la vita culturale si era illanguidita a causa della grande «emigrazione intellettuale» e che la Sicilia «non [era] troppo amica de le Muse». 

Minturno ricostruisce poi il quadro della vita religiosa a cavallo dei due secoli, caratterizzata dal confronto, a tratti aspro, tra “regalisti” e “curialisti” e circa il dibattito sulla “Legazia Apostolica”, ed ancora circa l'introduzione del sistema inquisitoriale spagnolo (1487) e circa l’assenteismo dei titolari delle diocesi più importanti ed ancora circa il diritto di “iuspatronato ecclesiastico” che competeva alla Monarchia. 

(Interessante appare il caso dell’arcivescovo di Palermo Jean Carondelet, stretto collaboratore di Carlo V, che rimase in carica dal 1519 al 1544 senza mai visitare l’Isola eppure su mandato regio insediava Vescovi ed Abati a presidiare quanti più feudi ecclesiali esistessero).  «Episodio significativo di un graduale processo di avvicinamento, ben riconoscibile in quegli anni, tra la vita anche religiosa della Sicilia e quella delle altre regioni della penisola italiana» viene considerata l’adesione, nel 1505, della «Congregatio Novella Siculorum», che tra il 1483 e il 1490 aveva riunito progressivamente sei abbazie benedettine siciliane, alla congregazione «Cassinese». Significativo, in questo processo di generale inquadramento dell’Isola nella realtà della penisola italiana, è stato il «viaggio trionfale» di Carlo V attraverso la Sicilia (22 agosto-2 novembre 1535), al ritorno dalla conquista di Tunisi e de La Goletta. Quel passaggio dell’Imperatore ispirò tantissime opere encomiastiche, celebrative e storiografiche e un’abbondante produzione di canti e racconti popolari: con queste celebrazioni, la marcia trionfale dell’imperatore alimentò potentemente nell’Isola un’ideologia non più particolaristica, o vagamente mediterranea, bensì tendenzialmente europea e imperiale: in ogni caso, su base fondamentalmente militare, in funzione anti-turca e anti-africana. 

 Carlo V venne presentato come portatore provvidenziale di giustizia e di una pace cristiana estesa a tutto il mondo, utile a far crescere la fiducia in un’idea di giustizia instrumentum regni, esercitata dall’imperatore e dai suoi supremi rappresentanti super partes, cioè al di sopra degli interessi particolari di ceti, gruppi, famiglie e persone. Fu con questa immagine tanto idealizzata che Carlo V lasciò al nuovo viceré Ferrante Gonzaga, sopra ricordato, il processo inteso a latinizzare la fede, continuando peraltro la già ultradecennale persecuzione degli ebrei.

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