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domenica 29 gennaio 2023

Alle radici dell'Umanità

IL MONDO ALL'ALBA DELL'UMANITA' pag. 4

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Siamo ancora alle premesse di un percorso che riteniamo, se possibile, sarà lungo. 

Le scritture del libro della Genesi vogliono proporsi di dare un senso al vivere dell'uomo. Vogliono descrivere il come è avvenuta il sorgere della Terra e come è stata originata la vita umana. Non è sul piano scientifico che esse tuttavia si propongono di descrivere e riflettere; lo scopo è quello di dare significato alla vita, al vivere dell'uomo; a quell'essere frutto di milioni di anni già vissuti da ominide =( rif. all'Ardipithecus ramidus di 4,4 milioni di anni fa, scoperto in Etiopia). Le descrizioni della Bibbia, che leggiamo, vogliono descrivono le origini del mondo per opera di Dio in vista dello successivo sviluppo della preistoria e successivamente della vicenda di Israele attraverso le vite dei padri costituenti di quel popolo.

Tema di primo piano del Libro (Genesi)  è che il creatore (Dio) è onnipotente, ma fedele all'uomo che è, e deve ritenersi, custode della natura creata. Quando fra gli uomini si andrà sviluppando la corruzione, l'egoismo e persino la malvagità ai danni di altri uomini, il Libro -come a voler additare un modello ottimale- individua una persona, Abramo e poi i suoi discendenti, a modo di custodi e fedeli esecutori del patto proposto per rimediare alla malvagità del mondo, creato e voluto da una divinità.

Il percorso che, dalle origini del cosmo e dell'Umanità, passando -come vedremo- attraverso patriarchi, liberatori, profeti e sapienti per arrivare alla fine all'Apocalisse, addita la città della pace e della speranza, sarà attraverso la Bibbia un percorso di simbolismi, di eventi di gloria e di drammi, scoperta di messaggi che stimolano la coscienza e, secondo tanti fedeli un martello che spacca le rocce del corso della vita.

(Segue)

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 Il credente cristiano: 

OLIVER CLEMENT

dal testo Dio è Simpatia

Cristiani tra secolarità e liturgia

3. La Velocità, modernità e teologia dell'amicizia

 C'è una grande spinta, nella nostra società, a pensare a noi stessi. E solo a questo. E' l'unico mandra che non attenua la sua voce neppure nei grandi cambiamenti in cui siamo immersi, quelli della società virtuale, della fretta delle grandi città, della fine dell'ottimismo che è seguita all'11 settembre 2001. Velocità e individualismo sono due grandi.

 La fraternità cristiana non può prendere le distanze da una società veloce, individualista, poichè essa implica la durata ed un certo grado di comunione. Implica il fermarsi accanto a un altro. In esperienze cristiane, come la Comunità di Sant'Egidio, l'amicizia è una dimensione fondamentale. Nell'Antico Testamento, "essere senza amici si avvicina molto all' "essere fuori di Dio". L'uomo della società liberale non ha che raramente amici: ha relazioni, conoscenze, di cui si serve al meglio per i suoi interessi. Nell'Antico Testamento, in particolare nell'Ecclesiaste e nel Libro dei Proverbi, troviamo una concezione abbastanza simile all'amicizia: l'amico è un sostegno, una difesa, ma ben presto tutto è retto da una concezione spirituale dell'amicizia. La linea orizontale, utilitaristica: è intrinsecata dalla linea verticale che indica la trascendenza.  Aiutare un amico diventa "un'offerta al Signore" (Eccl. 14,11),  "il fratello confortato dal fratello è saldo come una fortezza" (Prov. 18,19). Con l'amicizia di Davide e di Gionata, ci alziamo al di sopra di ogni concezione utilitaristica: " l'anima di Gionata si era talmente legata all'anima di Davide che Gionata lo amò come se stesso" (1 Sam 18,1). E compare un elemento tragico, come un'anticipazione della croce.

 Gesù realizza in sé l'unità di tutti gli uomini. Tale unità si esprime a vari livelli di coscienza e d'intensità per culminare nelle amicizie personali di Cristo, soprattutto con Marta, Maria e Lazzaro. E' significativo che l'unico adulto che Gesù  abbia strappato alla morte, Lazzaro, fosse uno dei suoi amici personali. Alla vigilia della sua passione, chiama amici i suoi apostoli. "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. 18,19-20). L'amicizia appare come un'espressione privilegiata della comunione cristiana. Ciò che evidenzia il carattere personale, e non semplicemente comunitario, dell'amicizia in Cristo, è che egli manda gli apostoli a portare la loro testimonianza a due a due. LO stesso accade per i settantadue discepoli.

 E' in questo quadro evangelico che i Padri della Chiesa hanno ripreso e sviluppato le belle analisi di Aristotele sull'amicizia (soprattutto l'Etica Nicomachea). Hanno sottolineato la necessità, oltre all'agàpe, l'amore dato dall'alto con un carattere universale, anche l'amicizia personale, la philìa. Usano qui il verbo stérgein che indica  un sentimento tranquillo e costante, pieno di pace. Stèrgein e agdpàn  si congiungono per indicare che l'amicizia è un servizio comune, che pone la persona, allo stesso tempo, nella sua unicità, nell'insieme della comunità e, finalmente, in Cristo e nell'insieme dell'umanità. Per San Gregorio di Nazanzio l'amicizia consiste nel sopportarsi, perdonarsi, e soprattutto nel " portare le difficoltà gli uni degli altri". Per definizione, "l'amicizia condivide" (Ep. Exort. ad Hellenios, PG 37 1468). E Gregorio mostra che, tutto sommato, l'amicizia "proviene dalla Trinità, che comunica l'unità e la pace" (Disc. 23 sulla pace, 3). Già San  Paolo aveva esortato i cristiani a " portare i pesi gli uni degli altri" (Gal. 6,2). I piccoli racconti dei Padri del Deserto mostrano che l'amicizia ignora il mio ed il tuo. Due monaci erano legati dall'amicizia. Uno dice all'altro: dovremmo tentare di capire perché la maggior parte degli uomini litigano rivendicando l'uno contro l'altro gli stessi beni. Prendo questo mattone, lo metto in mezzo a noi e dico: è mio! Tu resisti e rispondi ostinatamente dicendo con altrettanto vigore: no, è mio! Hanno iniziato così, ma presto ognuno ha detto all'altro: se lo vuoi, prendilo, è tuo!

 Un grande fisico e filosofo religioso russo, Paul Florensky, fucilato nel 1937, ha abbozzato una teologia dell'amicizia nella sua grande opera La Colonna e il Fondamento della Verità (Mosca, 1913). Al capitolo intitolato Lettara 12, egli analizza in particolare il rito della fraternizzazione, a metà strada tra l'ecclesiale ed il popolare, nell'ufficio dell'adelphopoièsi. Non abbiamo bisogno di un rito, abbiamo però di certo bisogno di vivere ciò che esso simboleggia.

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