IL MONDO ALL'ALBA DELL'UMANITA'
La Bibbia si apre, nel libro della Genesi, con la creazione della Terra e le origini del genere umano: In origine... ...
Il libro di Genesi, a dire degli studiosi, riporta tematiche dell'Età del Ferro, nell'intento di voler sostenere l'idea di una divinità unica (ed onnipotente), proveniente dal vocabolario simbolico dei miti antichi dell'epica babilonese riportata su tavole accadiche del I millennio a.C. Tavole queste risalenti agli antichi Sumeri ( tra il IV e il III millennio a.C.).
Entrambi le epiche ricalcano lo stesso schema: In principio cielo e terra sono creati come entità separate, poi viene istituito il giorno e la notte per misurare la vita in frazioni di sette giorni. Dopo il sole e la luna vengono posti in cielo, seguiti da esseri viventi sulla terra (fra questi pure l'uomo).
Sia Genesi che l'epica babilonese affermano che il tutto (cielo e terra) furono creati dal nulla, per volontà divina.
Gli studiosi asseriscono che Genesi è frutto di materiali (fonti) diverse. La creazione dell'uomo ha due modalità, conseguenza di tradizioni e fonti diverse. Gli studi prevalenti asseriscono che il libro Genesi fu definitivamente formulato nel periodo dell'esilio e post-esilico (VI secolo a.C.).
Il Fine. Le Scritture si propongono di presentare la rivelazione e la Parola di Dio non attraverso comunicazioni riservate agli "iniziati" e comunque mitiche, ma attraverso la "storia" di un popolo, in fasi successive. Quelle pagine, a ben vedere, riflettono le vicende umane di qualsiasi uomo nella sua libertà e nel suo svolgimento della vita, ora gioiosa ed ora sofferta. Rappresentano sia il bene che il male interpretati lungo il corso delle vicende storiche e secondo le successive evoluzioni e concezioni scientifiche.
(Segue)
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Il credente cristiano:
OLIVER CLEMENT
Cristiani tra secolarità e liturgia
La laicità è la condizionde normale in cui siamo tutti immersi. Potremmo dire che la società secolare è l'aria, l'ambiente che riempie i nostri polmoni anche quando dormiamo. Essere cristiani, oggi, parte da qui.
Ogni laico -dal greco laìkos - è membro del laòs, del popolo, in questo caso del popolo di Dio. Come battezzato, unto /chrismé) dallo Spirito, egli è "re, sacerdote e profeta". Re, per tentare di governare il suo destino nella luce di Dio, di ordinarlo nel senso più pieno della parola; sacerdote per fare l'offerta degli esseri, delle cose del mondo; profeta per imprimere un "altrove" nel quotidiano degli uomini e aprire così il futuro.
Non possono esserci "professionisti" del cristianesimo, anche se così si credeva nei tempi della cristianità, con il ruolo di direzione affidato al clero, e quello di ispirazione ad esempio ai monaci ...
Oggi, nei nostri paesi, ci si accorge che il clero non è una oligarchia privilegiata, ma si definisce come servizio, piuttosto al di sotto che al di sopra degli altri uomini. Quanto al monachesimo, esso costituisce sempre, come diceva San Giovanni Crisostomo, una "santa deviazione", resa necessaria dall'inaridimento del mondo cristiano. Nel Duecento, per esempio, quando tutti, in Occidente, erano battezzati, convertirsi significava farsi monaco. Mentre oggi significherebbe provare a diventare cristiano, cioè impegnarsi seriamente, nella Chiesa, al servizio di Cristo, e di conseguenza nella forza della resurrezione, al servizio degli altri.
La distanza tra laici e monaci, squalificante per i primi, è diventata oggi la distanza (che non è più squalificante per nessuno) tra gli atei, gli agnostici, i gnostici e così via, ed i cristiani che tentano di vivere il loro cristianesimo.
Un laico cristiano è, perciò, pienamente responsabile -insieme agli altri, "una voce nel coro" come diceva Siniavski-, della Chiesa e della sua diffusione. E' bene, perciò, -anche se difficile- che egli sia immerso nella secolarità. Infatti gli compete, in qualche misura, esorcizzare le tendenze distruttrici proprie della secolarità e di approfondirne i semi di vita vera.
Per molti anni ho insegnato la storia in un grande liceo parigino. Non ho cercato di "convertire" i miei alunni, ero obbligato dal mio dovere di laicità, ma piuttosto di "svegliarli", di porre loro domande, di avviarli sulla strada. Le loro strade, a volte, si sono avvicinate alla mia, altre volte invece si sono allontanate. In alcune professioni questa testimonianza indiretta è quasi impossibile; ma si può sempre esprimere nei rapporti di lavoro. E' la liturgia, ad ogni modo, che diventa il centro della nostra vita. La preghiera, che la interiorizza e la continua, ci dà la forza di non cadere, di dire una parola, che suggeriscono il senso.
Non ci sono ricette facili. Il fatto stesso di stare tra secolarità e liturgia è quello che può dare alla nostra vita una fecondità inaspettata. Inoltre esistono -a Sant'Egidio per esempio- impegni sistematici nella secolarità per portare questa testimonianza. Ho vissuto anc'io questo, lavorando al di fuori della mia attività professionale per consolidare piccole comunità ortodosse nate in Francia, e per orientarle verso la testimonianza e la condivisione. E mi sembra che i miei alunni fossero interessati alle mie lezioni proprio perché intuivano in me altre preoccupazioni, un'apertura su un'altra dimensione della vita.
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